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Sentenza della Corte di Cassazione | Verdict of the Supreme Court

Ieri, 20 novembre 2015, la Corte di Cassazione ha confermato l’innocenza di Giulio Selvaggi, Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Claudio Eva, Gian Michele Calvi, in relazione ai fatti del terremoto dell’Aquila e alla riunione della c.d. Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009. La Corte Suprema ha rigettato tutti i ricorsi del Procuratore Generale dell’Aquila e delle parti civili, confermando le conclusioni del processo di Appello, secondo cui per i sei imputati il fatto non sussiste. Per Bernardo De Bernardinis, vice-capo del Dipartimento di Protezione Civile all’epoca dei fatti, è stata confermata la condanna in relazione ad alcune delle vittime.

La sentenza della Corte Suprema rende giustizia ai nostri colleghi e all’INGV che ha sempre continuato a lavorare con impegno nella ricerca sui terremoti e nella riduzione del rischio sismico, a fianco dei cittadini dell’Aquila e nell’interesse delle popolazioni esposte ai terremoti.

 

Yesterday, November 20, 2015, the Supreme Court definitively cleared Giulio Selvaggi, Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Claudio Eva, Michele Calvi from to the accusations related to the L’Aquila earthquake and the expert meeting (defined Commissione Grandi Rischi) held on March 31, 2009. In the definitive judgment the Supreme Court rejected all the objections, thus confirming the verdict of the Court of Appeal of  November 10,  2014: the six experts have been cleared, whereas the conviction of Bernardo De Bernardinis (former vice-head of Civil Protection Department), with reference to some of the victims, was confirmed.

The final judgment of the Supreme Court establishes justice for our colleagues and for INGV which has continued its work in earthquake research and towards seismic risk reduction, together with the citizens of L’Aquila and for the population exposed to earthquakes.

Iniziato il processo di appello a L’Aquila

Ieri, dieci ottobre 2014, in Corte d’Appello all’Aquila è iniziato il secondo atto del processo agli esperti presenti alla riunione del 31 marzo 2009. Sotto accusa ci sono i sette condannati in primo grado (il 22 ottobre 2012) a 6 anni di reclusione per omicidio colposo e al risarcimento di diversi milioni di euro.

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L’udienza di ieri è stata dedicata alla presentazione della sentenza di primo grado e dei contenuti degli appelli da parte della Giudice, alla presentazione dell’accusa da parte del Procuratore Como, a una prima esposizione di uno degli avvocati delle parti civili. La richiesta della Procura è stata la conferma della condanna a 6 anni di reclusione per tutti gli imputati e alla cancellazione delle pene accessorie, attribuite in primo grado. È stato inoltre stilato un serrato calendario delle prossime udienze (17, 18, 24 e 25 ottobre) che dovrebbe portare alla sentenza il 31 ottobre.

Noi siamo fiduciosi che in questo grado di giudizio si riconsidererà la posizione degli imputati al processo. Ricordiamo che il nostro collega Giulio Selvaggi, in quel periodo direttore del Centro Nazionale Terremoti, fu invitato alla riunione da Boschi (allora presidente dell’INGV) per illustrare una relazione tecnica sull’andamento della sequenza sismica stilata dagli esperti dell’INGV e autorizzata dal suo collegio d’Istituto; egli non era un membro della Commissione grandi rischi, non era autorizzato a fare valutazioni del rischio che infatti non fece; né lui né Boschi hanno rilasciato interviste in quella sede né hanno partecipato alla conferenza stampa tenutasi dopo la riunione.

Appeal of L’Aquila Process began

On October 10, 2014 at 9.30 a.m. at the Court of Appeal of L’Aquila began the session of an appeal with respect to the convicted experts, who participated in the March 31, 2009 meeting of the National Commission for forecasting and preventing great risks. On October 22, 2012 the trial court sentenced the seven experts for manslaughter to 6 years in prison and an additional payment of 7 million Euros.

The panel of judges of the Court of Appeal is chaired by Fabrizia Ida Francabandera, Carla De Matteis and Marco Flamini. The prosecution will be represented by the general attorney Romolo Como.

The yesterday’s session was devoted to the Judge presentation of the first-instance verdict and the subsequent appeals, to the presentation of the prosecution by the attorney Como, and in a first discussion of to one of the lawyers. The Public Prosecutor’s request was the confirmation of the sentence to 6 years imprisonment for all the accused and the cancellation of accessory penalties. It was decided a tight schedule of upcoming sessions (17, 18, 24 and 25 October), which should lead to the judgment of 31 October.

We are confident that in this level of judgment the judges will reconsider the position of the defendants at trial. We would like to recall that our colleague Giulio Selvaggi – at the time director of the National Earthquake Center – was invited by Boschi -at the time INGV-President – to participate in the meeting exclusively for illustrating a technical report on the seismic sequence, compiled by INGV experts and authorized by the INGV board; he was neither a member of the National Commission for forecasting and preventing great risks, nor he was authorized to express any risk assessment; neither Selvaggi nor Boschi gave interviews at that time, and both did not attend the press conference held after the meeting.

“Scarico di energia” e i terremoti a Gubbio

A cinque anni dalla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, si parla ancora di “scarico di energia”. Facciamo chiarezza analizzando i terremoti della sequenza che continua a interessare l’area di Gubbio.

La sequenza sismica che sta interessando oramai da molti mesi la provincia di Perugia ha avuto negli ultimi giorni una ripresa con alcuni terremoti di magnitudo superiore a 3.0 avvertiti dalla popolazione. L’attività che dal 2010 aveva prima interessato il settore tra Gubbio e Pietralunga, con alcune migliaia di terremoti e magnitudo massime di M=4.0, si è concentrata ora più a nord-ovest, a metà strada tra Città di Castello (PG) e Apecchio (PU), con magnitudo massima M=3.3.

Figura 1. Sismicità nella zona di Gubbio dal 2010 alla scorsa settimana (in blu): sono evidenziati in giallo i terremoti della sequenza dell’aprile 2010, in verde quelli del marzo 2013 e in rosso la sismicità di questi giorni. Fonte: Blog INGVterremoti.

Figura 1. Sismicità nella zona di Gubbio dal 2010 aggiornata alla scorsa settimana in blu. Sono evidenziati in giallo i terremoti della sequenza dell’aprile 2010, in verde quelli del marzo 2013 e in rosso la sismicità di questi giorni. Fonte: Blog INGVterremoti.

Nella regione umbro-marchigiana sono presenti numerose faglie attive, concentrate lungo l’Appennino. Qui la catena montuosa si deforma, allargandosi perpendicolarmente al suo asse, a una velocità di circa 3 mm all’anno. Il modello tettonico più accettato dagli studiosi prevede che tale deformazione sia accomodata da un sistema di faglie, con movimento estensionale, a direzione prevalente nord-ovest/sud-est, fra cui la Faglia di Gubbio. L’individuazione delle faglie attive e delle loro geometrie in profondità si ottiene anche grazie allo studio della sismicità, che in quest’area viene rilevata da una rete molto densa di sismometri. È possibile affermare che la sismicità registrata nella zona di Gubbio a partire dal 2010 ha interessato diverse faglie. Per approfondimenti si veda il post sul blog INGVterremoti.

La modalità con la quale avviene il rilascio sismico che stiamo osservando in questi mesi porta il nome di sciame sismico. Il termine sciame sismico deriva dall’inglese seismic swarm e fu coniato alla fine dell’Ottocento, poi usato estesamente in tutta la letteratura scientifica americana ed europea. Con sciame si intende un periodo sismico che non è caratterizzato da un terremoto principale (mainshock) e dalle sue repliche (aftershock), ma un processo sismogenetico durante il quale gli eventi più forti si distribuiscono nel tempo in maniera casuale.

La domanda che ci poniamo è: quanta energia è stata sprigionata durante lo sciame sismico di Gubbio? Prima di tutto troviamo il parametro che meglio rappresenti l’energia dei terremoti. La migliore stima di questa grandezza è rappresentata dal momento sismico (indicato con M0). Tecnicamente, M0 misura il momento di una coppia di forze equivalente alla deformazione che osserviamo durante i terremoti e per questo si chiama momento sismico. La magnitudo (indicata con la lettera M) è invece un modo semplice e intuitivo di esprimere questa grandezza con numeri piccoli ed è proporzionale al logaritmo del momento M0 (viceversa, M0 è proporzionale a 10M). La magnitudo, sebbene sia meno precisa per i forti terremoti, si può misurare più rapidamente e per questo viene usata comunemente.

Figura 2. Sismogrammi e rappresentazione visiva della energia rilasciata da terremoti di M=4, M=5 ed M=6.

Figura 2. Sismogrammi e rappresentazione visiva dell’energia rilasciata da terremoti di magnitudo M=4, M=5 ed M=6. Fonte: Terremoti e maremoti. INGV-Giunti Progetti Educativi, 2010.

Dal 2010 ad oggi, nell’area di Gubbio sono avvenuti 45 terremoti di magnitudo maggiore di 3.0 (come indicato dalle colonnine verdi in Figura 3). Se traduciamo la magnitudo in momento sismico e ne sommiamo i valori per tutti i terremoti, otteniamo un momento sismico complessivo pari a Mo= 4*1016, che equivale ad un unico terremoto di magnitudo M=4.8 (linea nera in Figura 3). Possiamo quindi dire che, se tutta l’energia liberata negli oltre quaranta terremoti che sono avvenuti a Gubbio fosse stata liberata in una singola scossa, questa avrebbe avuto una magnitudo pari a 4.8. I restanti terremoti di piccola magnitudo non influenzano in maniera significativa questa stima.

Figura 3. Numero di terremoti dal 2010 (asse a sinistra e colonnine verdi) e il valore del loro momento sismico cumulato  nel tempo (asse a destra e linea nera). La linea rossa indica il momento sismico M0=1018 di un terremoto di magnitudo 6.

Figura 3. Numero di terremoti avvenuti nell’area di Gubbio dal 2010 ad oggi (asse a sinistra e colonnine verdi) e il valore del loro momento sismico cumulato nel tempo (asse a destra e linea nera). La linea rossa indica il momento sismico M0=10^18 di un terremoto di magnitudo 6.0.

Un’altra domanda che ci viene spesso rivolta è se da questa osservazione possiamo trarre un giudizio di cauto ottimismo proprio perché c’è stata una costante liberazione di energia. Purtroppo siamo molto lontani dal vero e per due motivi. Il primo deriva da quanto appena esposto e cioè l’energia che è stata liberata dall’intera sequenza è molto poca e corrisponde complessivamente a un terremoto modesto. Il secondo e più importante motivo è che il processo sismogenetico che porta alla nucleazione di un grande terremoto è molto più complesso. Di solito, osserviamo che l’area di faglia che si rompe in un grande terremoto non è solo quella interessata dallo sciame. Anzi, secondo alcuni modelli sismologici tale sismicità potrebbe aumentare o diminuire la probabilità di un forte terremoto, a causa delle variazioni dello sforzo sul piano di faglia; questo dipende molto dalla magnitudo delle scosse che avvengono prima del mainshock e dalla distanza e orientazione di queste rispetto alla faglia principale. Senza entrare in dettagli troppo tecnici sulla fisica della rottura nei terremoti, il concetto generale è che i forti terremoti non sembrano essere influenzati significativamente dalla sismicità di bassa magnitudo, che può o meno avvenire prima di una forte scossa, mentre sono influenzati da terremoti di magnitudo comparabile. A tal proposito si potrebbe far notare come la nostra storia sismica contenga numerosi esempi di attivazioni di faglie vicine tra loro dopo un forte terremoto e con differenze di tempi che variano da pochi secondi (Irpinia 1980, tre scosse in 40 secondi), a un giorno (Umbria-Marche 1997), a qualche giorno (Emilia 2012) a settimane (Calabria 1783), mesi (Friuli 1976) o addirittura anni (terremoto di Nicastro in Calabria meridionale del 1905 seguito nel 1908 da quello di Messina). Siamo ancora lontani dal comprendere in che modo e cosa influenza questa interazione tra strutture di faglia adiacenti.

L’erroneo concetto dello scarico di energia come elemento positivo è divenuto una vera e propria “leggenda metropolitana” che fu riportata anche dai mass-media nelle settimane prima del terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Lo stesso vice Capo Dipartimento della Protezione Civile di allora si pronunciò in questo senso prima della riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo 2009. Il tema dello scarico di energia come elemento positivo non fu però trattato durante la riunione della Commissione proprio perché senza alcun fondamento scientifico e anche perché non vi era contezza dell’intervista fatta poco prima dall’allora vice Capo Dipartimento. Al contrario, nei due comunicati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia al Dipartimento della Protezione Civile inviati nelle settimane prima del terremoto del 6 Aprile (febbraio e marzo 2009) si esprimeva chiaramente il concetto secondo cui la probabilità di un forte terremoto a L’Aquila non aumentava e neanche diminuiva a causa dello sciame in corso.

Per approfondire questi temi si veda l’articolo, uscito recentemente, di A. Amato e F. Galadini, 2014.

Lettera aperta di Enzo Boschi sulla condanna

Riportiamo la lettera ricevuta dal Prof. Enzo Boschi, Presidente INGV nel 2009, sulla condanna in primo grado inflitta a lui e ad alcuni altri partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009.

Il Processo alla Commissione Grandi Rischi

Enzo Boschi

Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perchè, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato. Da Il Processo di Kafka.

Sono stato condannato a sei anni di reclusione per non aver comunicato bene il rischio sismico cui erano sottoposti gli abitanti de L’Aquila nel 2009. E’ quanto ho capito dalla lettura delle 946 pagine della sentenza. Vi è scritto che gli Aquilani, quando avvertivano una scossa sismica, Read the rest of this entry

Le “prove” dell’accusa: l’articolo di Boschi et al. del 1995 sul Bulletin of the Seismological Society of America

Galileo_by_leoniDopo il processo e la sentenza, si è parlato molto di processo alla Scienza. C’è chi ha evocato addirittura il processo a Galileo, chi si è limitato, per così dire, a parlare di scienza in tribunale. I fautori della sentenza hanno tenuto a precisare che non si è trattato affatto di un processo alla Scienza ma solo a degli individui che hanno fatto male il loro mestiere. Quel che è certo è  che si è trattato indubbiamente di un processo intriso di elementi scientifici, nella formulazione dell’accusa, nella scelta degli accusati, in ogni dichiarazione resa alla stampa. Tutto è stato permeato di termini e concetti che sono propri della scienza. Se non si è trattato di un processo alla Scienza con la S maiuscola, si è processato il metodo scientifico (galileiano), il che non è molto diverso.

Un esempio di quanto il percorso e il risultato scientifico sia stato coinvolto nel processo è rappresentato dall’ampio uso che viene fatto dall’accusa dell’articolo pubblicato nel 1995 da Boschi, Gasperini e Mulargia sul BSSA (Bulletin of the Seismolgical Society of America), una delle principali riviste sismologiche mondiali. L’articolo è stato citato spesso in aula, e poi dalla stampa, per provare che gli imputati avrebbero dovuto utilizzare l’articolo (Boschi in primis essendone autore) per dire che un terremoto a L’Aquila fosse imminente.

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Ma imminente quanto? Ore, giorni, mesi, anni? Qui sta il punto. Geologicamente queste quantità sono praticamente la stessa cosa. Perché i processi geologici hanno periodi di centinaia di migliaia o milioni di anni, i tempi di ricarica di una singola faglia in Italia sono di centinaia o migliaia di anni. Gli errori su queste grandezze non possono che essere anni o decenni, considerato il campione statistico a disposizione (il catalogo storico) e la sua irregolarità.

Ma veniamo a cosa dice l’articolo. E a cosa ne è stato estratto in maniera semplicistica per dimostrare la colpa. Delle oltre 50 zone in cui gli autori avevano diviso l’Italia per i loro calcoli statistici, ci si è concentrati sulla zona 34, un triangolo molto stretto che comprende la regione aquilana, più o meno (dalla carta pubblicata non è chiaro).

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Come si vede dalla figura, la zona 34 è molto piccola. Tutte le zonazioni utilizzate successivamente per studi analoghi, come la carta di pericolosità nazionale (http://zonesismiche.mi.ingv.it/), hanno utilizzato zone più grandi, per avere più dati e delle statistiche più robuste.

Nella tabella 4 dell’articolo i valori di probabilità di un terremoto di magnitudo pari o superiore a 5.9 in quest’area sono sempre 1.00 (il 100%), indipendentemente dalla finestra di previsione. Gli autori scelsero di calcolare le probabilità (usando un certo modello statistico) per 5, 20 e 100 anni. La zona 34 viene indicata dagli autori come quella effettivamente più pericolosa. Troppo pericolosa.

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Se, nel 1995, avessero calcolato la probabilità a 1 anno o a 1 mese sarebbe risultata sempre 1. Vediamo perché, gli autori ci aiutano a capire. Infatti scrivono che la zona 34 va trattata con “prudenza” per il piccolo numero di terremoti usati (solo 3, e non ci vuole un Mannheimer per capire che fare dei calcoli statistici su un campione di 3 dati è non solo imprudente ma forse proprio sbagliato). Gli autori notano nell’articolo che i tre terremoti della zona 34 sono avvenuti tra il 1646 e il 1762 con intervalli di circa 60 anni. Poi più niente per oltre 230 anni. Ecco spiegata la probabilità 1 della tabella. Un modello che prevede un terremoto ogni 60 anni (1646, 1703, 1762) avrebbe dato probabilità elevatissime in Abruzzo già intorno al 1830, ben prima della presa di Roma e dell’unità d’Italia, per intenderci. Restando in ambito sismologico, la certezza di un forte terremoto a L’Aquila, secondo l’articolo, c’era anche quando avvenne il forte terremoto del 1857 in Basilicata, quello di Messina nel 1908, del Belice nel 1968, del Friuli del 1976 o dell’Irpinia del 1980. Tutti questi eventi sismici, e molti altri, hanno causato decine di migliaia di vittime dalle Alpi alla Sicilia, mentre (secondo quello studio) la probabilità a L’Aquila continuava a essere il 100%. Nei fatti, per oltre due secoli a L’Aquila non è successo niente, nonostante la probabilità fosse del 100% (secondo l’articolo in oggetto) e con decine di sequenze e sciami che sono capitati in quello stesso periodo.

Un altro aspetto problematico dell’articolo è che i 3 terremoti della zona 34 non sono affatto confrontabili: si tratta di un evento, nel 1646, di magnitudo (stimata) 4.5 (catalogo CPTI11), di quello molto più forte del 1703 (M 6.7) e di quello del 1762 (M circa 6). Il primo è circa 2000 volte più piccolo del secondo! Quindi non confrontabile. Inoltre manca all’appello l’unico terremoto su cui tutti concordano nel considerarlo come un “gemello” di quello del 2009: quello del 1461, anch’esso più volte richiamato in aula e nella sentenza. La ricorrenza tra i tre eventi dell’articolo non ha quindi alcun senso. Come confrontare le angurie con le ciliegie.

Che gli autori avessero compreso che nella zona 34 quella statistica proprio non andasse bene traspare dal lungo riconsiderare e ridiscutere il risultato ottenuto per quella zona.  Scrivono infatti che questa distribuzione così irregolare potrebbe essere un indizio di “clustering. Cosa significa? Che, come si osserva spesso nei cataloghi sismici, i terremoti non avvengono con cadenza regolare (magari! sarebbero molto più prevedibili), tutt’altro. Ci sono molte regioni in Italia e nel mondo in cui si osserva il “clustering” ossia il raggruppamento: diversi terremoti in qualche decina di anni e poi secoli e secoli di quiescenza (link).

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Che quel modello fosse “sbagliato”, almeno per la zona 34, lo dimostra anche la prima colonna della Tabella, sistematicamente ignorata in aula, quella relativa al periodo 1995-1999: se nel 1995 c’era il 100% di probabilità di avere un terremoto di M6+ nei successivi 5 anni, e il terremoto non era avvenuto entro il 2000, c’era evidentemente qualcosa che non andava.

È così che progredisce la scienza, non possiamo colpevolizzare gli autori di quello studio per questo. Si formulano ipotesi, si costruiscono dei modelli, se ne analizzano i limiti, si verificano e, quando (la maggior parte delle volte) si dimostrano sbagliati, si cambiano. Ma non vengono effettuate smentite ufficiali, lavori come questo vengono citati ed eventualmente criticati in lavori successivi perché rappresentano comunque un passo verso la comprensione del percorso migliore da seguire per raggiungere un certo obiettivo: capire e tentare di quantificare la (ir)regolarità dei processi sismici. Nel caso specifico, questo lavoro ha messo in evidenza che per applicazioni statistiche più realistiche è necessario utilizzare la sismicità in zone più estese di territorio e quindi con più dati da elaborare (vedi qui).

E qui torniamo al punto di partenza. Che l’Abruzzo fosse una zona ad elevata pericolosità lo si sapeva, è sancito nella Mappa di Pericolosità sismica d’Italia, è stato detto nella riunione della CGR del 31 marzo (vedi qui), tanto che il Sindaco Cialente il giorno dopo chiese lo stato d’emergenza. Che non si potesse dire che il terremoto fosse in arrivo nei successivi giorni o anni o decenni è evidente, e certo l’articolo di Boschi et al. qui descritto non lo diceva. Averlo portato e discusso alla riunione del 31 marzo non avrebbe cambiato le cose, non avrebbe consentito di formulare una probabilità di accadimento di un forte terremoto nelle ore/giorni successivi. Come detto inizialmente, tutti gli strumenti sviluppati e validati dalla comunità scientifica internazionale in questo campo riguardano il medio e lungo termine (quindi decine o centinaia di anni). Gli scienziati lavorano per migliorare la comprensione e le possibilità di applicazione dei propri studi alla società ma occorre avere ben chiaro che la pubblicazione di un articolo scientifico significa esporre una teoria, un modello, un’ipotesi alla critica dei colleghi. Significa dare inizio a un percorso di verifica e di analisi che può portare a rivedere completamente il lavoro stesso, spesso anche da parte degli stessi autori. I risultati di questo complesso processo di avanzamento della conoscenza non possono essere usati se non se ne comprendono pienamente il significato e i limiti.

OggiScienza TV – La scienza e gli scienziati nel processo de L’Aquila

da OGGISCIENZA  Processo de L’Aquila. La sentenza a sei anni di carcere a 7 dei partecipanti alla riunione della Commissione Grandi rischi del 31 marzo 2009 fa molto discutere. Il 30 gennaio, a dieci giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza, lo stesso pm Fabio Picuti chiede l’archiviazione dell’inchiesta a carico dell’ex capo della Protezione Civile e di Daniela Stati (ex Assessore regionale abruzzese alla Protezione Civile). Guido Bertolaso e Stati erano indagati per omicidio colposo e lesioni in un filone di indagini parallelo a quello del processo ai sismologi. Dato che le motivazioni della sentenza del giudice Marco Billi sono basate in buona parte sul fatto che i partecipanti si sarebbero prestati a un’operazione mediatica architettata proprio da Bertolaso, ci si chiede allora dove stia (almeno) la coerenza.

OggiScienza ha seguito il processo e commentato la sentenza. Le questioni aperte da questa vicenda sono moltissime, oggi ne approfondiamo alcune con Giulio Selvaggi, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, all’epoca del terremoto direttore del Centro Nazionale Terremoti, e oggi uno degli imputati di questo processo.

Simona Cerrato

NOTA
La mia conoscenza delle vicende del processo dipende anche dal fatto che negli ultimi mesi ho collaborato con un gruppo di sismologi dell’INGV per studiare e migliorare la comunicazione dei terremoti in Italia. La mia posizione non è quindi equidistante. Malgrado ciò, penso che questa conoscenza possa essere utile anche ad altri e che sia un bene metterla a disposizione.

SPECIALE Terremoti storici: 310 anni fa un grande terremoto a L’Aquila

Sul blog ingvterremoti.wordpress.com c’è la descrizione di un forte terremoto avvenuto nel 1703 a L’Aquila.

 

Lettera aperta dei sismologi dell’INGV sulle motivazioni della sentenza

Il 18 gennaio sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato per omicidio colposo gli esperti della Commissione Grandi Rischi riunitasi prima del terremoto aquilano del 6 aprile 2009. Questa è un’altra importante tappa della complessa vicenda giudiziaria che ha fatto discutere il Paese e la comunità scientifica nazionale ed internazionale.

Ormai a distanza di più di due anni dall’inizio della vicenda giudiziaria, tanti di noi continuano, non certo per partito preso, a coltivare dubbi sulla strada intrapresa dalla magistratura e a ritenere ingiuste le accuse e la condanna a sei anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per omicidio colposo ai nostri colleghi. Oggi, soprattutto dopo aver letto le motivazioni, sentiamo il dovere di comunicare il nostro punto di vista.

Per quanto riguarda il processo, con la sentenza si è inteso confermare la tesi contenuta nella requisitoria dei pubblici ministeri, secondo cui gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per avvenire ma non si sarebbero curati, o addirittura avrebbero volutamente evitato, di comunicare adeguatamente il rischio. A fronte del fatto che la comunicazione verso la cittadinanza non è prerogativa degli esperti che sono chiamati a fornire pareri, l’ampia documentazione esistente sulle caratteristiche sismiche del territorio testimonia la bontà del lavoro della comunità scientifica e l’avvenuto trasferimento delle informazioni e delle conoscenze disponibili per definire e comunicare il rischio sismico nella città di L’Aquila. A tal proposito, si deve notare come il giudizio sul ruolo giocato dalla comunità scientifica sia stato in buona parte imperniato su un’intervista al vice-capo del Dipartimento della Protezione Civile avvenuta precedentemente alla famosa riunione del 31 marzo 2009, nel corso della quale la Commissione Grandi Rischi ha discusso davanti alle autorità locali le caratteristiche sismiche dell’Aquilano e la possibilità di prevedere i terremoti.

Nel corso della riunione è stata comunicata alle istituzioni l’impossibilità di prevedere l’accadimento di una forte scossa. Questa comunicazione non poteva essere interpretata come l’impossibilità che il terremoto avvenisse. La certezza di quanto sostenuto è nel fatto che i risultati delle ricerche svolte dal 2009 a oggi non hanno smentito nulla di quello che è stato sostenuto dagli esperti nella riunione e non hanno evidenziato aspetti che avrebbero dovuto suggerire con certezza uno sviluppo così drammatico della sismicità. Infatti, anche in questo preciso momento possiamo serenamente affermare che dal punto di vista scientifico una sequenza sismica di bassa magnitudo in atto non rappresenta un segnale prognostico per l’accadimento nell’immediato di un forte terremoto.

Se poi guardiamo al processo, dobbiamo sottolineare il fatto che per dimostrare la colpevolezza degli imputati i pubblici ministeri sono entrati nel merito di lavori scientifici estremamente complessi, senza avvalersi di adeguata consulenza sismologica.  Già questo aspetto basterebbe ad affermare che l’intera vicenda giudiziaria presenta aspetti tali da farla considerare anche un processo alla scienza. In questo quadro non sorprende che lo stesso pubblico ministero giunga a definire “categoria giuridica il concetto di analisi del rischio”, cioè procedure proprie del mondo della ricerca, continuamente discusse, cui sono legati significativi margini di incertezza. Assumere posizioni come questa, prescindendo dal fisiologico sviluppo di un dibattito scientifico, a noi sembra una forzatura.

Altro aspetto generale del processo che alimenta più di una perplessità è la mancata analisi delle responsabilità istituzionali, politiche, amministrative, sia al livello centrale che locale. In questo caso possiamo richiamare la lucida analisi del ministro Clini: “Non si può chiedere a tecnici e scienziati di assumersi una responsabilità che dovrebbe essere amministrativa e, in ultima istanza, della politica”. Ciò è certamente vero per il caso specifico delle conseguenze della riunione della commissione di esperti oggetto del processo, ma è altrettanto vero in generale, su un piano che potrebbe dirsi addirittura storico, il cui richiamo è suggerito proprio dalla lacuna del dibattito processuale.

In effetti, basta guardare a quanto discusso in occasione di terremoti passati. Il 2 gennaio 1909, pochi giorni dopo la catastrofe di Reggio e Messina, sul Corriere della Sera, un illuminato Pasquale Villari (già Ministro della Pubblica Istruzione), riprendendo tesi di Guido Alfani (direttore dell’Osservatorio Ximeniano) osservava che la distruzione “non è una ragione per condannare noi stessi … ad un’opera eterna di fare e disfare, ripetendo sempre gli stessi errori, non evitando quella parte non piccola di calamità da cui la ragione e l’esperienza possono difenderci”. Era la perorazione del ben costruire che anche il giorno dopo, sullo stesso giornale, un altrettanto illuminato Francesco Saverio Nitti faceva sua, citando, come si fa anche oggi, il Giappone: “Le costruzioni sono fatte in guisa da rendere i pericoli sempre meno gravi. Tutta la Calabria deve adottare forme di costruzioni, che possono resistere almeno in parte all’opera distruggitrice dei terremoti. Questo problema va affrontato arditamente, come un problema nazionale”. Ancora oggi è questo l’unico strumento per la difesa dai terremoti. Se dopo più di cento anni discutiamo delle stesse questioni, vuol dire che il problema a livello nazionale non è stato affrontato, almeno non “arditamente”. Possiamo affermare che se avessimo cominciato a costruire in modo antisismico dal 1909, molte vite umane si sarebbero salvate: del resto la zona dell’Aquila fu classificata come sismica dopo il terremoto del 1915.

Si potrebbe proseguire con la previsione dei terremoti. Nel caso del sisma aquilano se ne è discusso a lungo, per concludere che, come sostenuto dagli esperti della commissione, non è possibile previsione alcuna. Non è storia nuova: dopo il disastroso terremoto abruzzese del 1915 (ben più forte di quello del 2009), il direttore dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (l’INGV di una volta) così rispondeva a chi pretendeva informazioni sul momento esatto delle scosse a venire: “Caro signore … se noi potessimo sapere quello che lei chiede, questo ufficio invece di chiamarsi Osservatorio si chiamerebbe Segnalatorio”. Il fatto che a quasi cento anni di distanza ci siamo trovati di fronte ad analoghe discussioni manifesta le lacune di progresso culturale della società. Ancora oggi, nonostante gli avanzamenti scientifici fatti nel campo sismologico, nessuno può prevedere una forte scossa con esattezza di tempo e luogo.

In questo quadro di persistente arretratezza, l’importante elemento di progresso politico e culturale determinato dall’attività dei sismologi nei decenni passati è rappresentato dalla classificazione sismica del territorio nazionale (Decreto MLP 14/07/1984), base irrinunciabile per le corrette pratiche edilizie. Da ultimo, nel 2004, gli esperti hanno messo a disposizione delle pubbliche autorità la Mappa di Pericolosità Sismica, una legge dello Stato (2006) da utilizzarsi appositamente per la difesa dai terremoti, come riferimento nelle norme tecniche per le costruzioni. La mappa è una vera e propria previsione probabilistica di quanto può accadere dal punto di vista sismico sul territorio nazionale in un momento qualsiasi, non sappiamo se domani, fra dieci o cinquanta anni.

Diversamente da un articolo scientifico, che per definizione è destinato ad un pubblico di esperti e va letto nella sua interezza e non estrapolando una singola frase, le mappe di pericolosità sono elaborate dalla comunità scientifica internazionale secondo procedure consolidate e condivise, e realizzate in una forma semplice e comprensibile a tutti per la diretta pianificazione dell’uso del territorio. Nel caso italiano, la mappa considera tutta la lunga storia sismica italiana e tutti i risultati della ricerca aggiornati e discussi dalla comunità scientifica. Quella stessa carta fu mostrata dagli esperti anche nella riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009.

La storia di un secolo evidenzia che la ricerca applicata alla difesa dai terremoti ha avuto quello sviluppo consono alle necessità di un paese moderno. Al contrario, i persistenti difetti culturali e di messa in pratica delle acquisizioni scientifiche chiariscono drammaticamente, anche sul lungo periodo, le lacune amministrative e della politica richiamate, per lo specifico del processo, dal ministro Clini.

Si intravedono in pratica due storie, quella del Paese e quella della ricerca, che non hanno avuto, per quanto attiene la mitigazione dei rischi naturali, la stessa velocità, essendo quasi rimasta al palo la prima e avendo superato numerosi traguardi la seconda. E’ proprio a questo contesto che fa riferimento la vera lezione lasciata dal tragico terremoto del 6 aprile 2009: l’assenza ancora oggi di una forte politica di prevenzione e l’incapacità del sistema paese di gestire nel medio e lungo termine le informazioni sulla pericolosità, sulla vulnerabilità e quindi sul rischio sismico. E’ evidente, in merito a questi problemi ancora aperti, il ruolo fuorviante della sentenza e delle sue motivazioni.

Tutto questo non diminuisce la nostra determinazione a rinnovare l’impegno al massimo livello per la ricerca, per la comunicazione e il dialogo con la società e le popolazioni dei territori a rischio. Riteniamo urgente intraprendere una nuova strada, civile e moderna, in cui scienziati, Protezione Civile, governo, amministratori locali, cittadini, definendo chiaramente i propri ruoli, contribuiscano a creare un sistema capace di avviare le corrette pratiche che nel breve e medio termine possano portare ad una sostanziale mitigazione del rischio sismico. 

Alessandro Amato, Massimo Cocco, Giovanna Cultrera, Fabrizio Galadini, Lucia Margheriti, Concetta Nostro, Daniela Pantosti, sismologi dell’INGV.

 

Oggiscienza sulla sentenza

Il parere di Oggiscienza sulle motivazioni della sentenza (18 gennaio 2013)

Oggi le motivazioni della sentenza

Sono state rese note le motivazioni della sentenza di primo grado del processo dell’Aquila, emessa il 22 ottobre scorso, che condanna a 6 anni per omicidio colposo sette partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, tenutasi pochi giorni prima del terremoto in cui sono perite 309 persone.
Le motivazioni sono corpose e articolate e necessiteranno approfondimenti ulteriori.
Tuttavia, queste sembrano ignorare la dura lezione lasciata dal terremoto del 6 aprile 2009:
l’assenza di prevenzione e l’incapacità del sistema paese di gestire nel medio e lungo termine le informazioni sulla pericolosità, sulla vulnerabilità e quindi sul rischio sismico.

Si è invece focalizzata l’attenzione sulla previsione a brevissimo termine, nonostante l’acclarata impossibilità di prevedere l’accadimento di una forte scossa sismica in termini di ora, luogo ed intensità; impossibilità che non esclude che il terremoto possa verificarsi. Al contrario di quanto affermato nelle motivazioni riteniamo che la strada principale per ridurre il rischio sismico sia la prevenzione in termini di riduzione della vulnerabilità degli edifici.

La sentenza sostiene che gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per accadere, ma non si sarebbero curati, o meglio, avrebbero volutamente evitato di comunicare adeguatamente il rischio.

I sismologi italiani hanno sempre contribuito con grande impegno alla difesa dai terremoti lavorando insieme alla Protezione Civile e alle autorità locali. I sismologi hanno elaborato e messo a disposizione del Paese la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, la cui ultima versione aggiornata nel 2006 — tre anni prima del terremoto dell’Aquila — è legge dello Stato (http://www.mi.ingv.it/pericolosita-sismica/). Questa mappa, che rappresenta uno strumento importantissimo per la prevenzione sismica, era ed è ben nota. Nella mappa, L’Aquila ricadeva in una zona ove la pericolosità sismica è massima, indipendentemente dal fatto che ci fossero o meno delle sequenze sismiche in atto. Questo è stato discusso nella riunione del 31 marzo del 2009. Quindi l’”allarme” e la comunicazione del rischio erano stati chiaramente dati, per le proprie competenze, dai sismologi.

Noi pensiamo che il progresso per la mitigazione dei rischi naturali debba essere basato sulla conoscenza della pericolosità del territorio, sulla riduzione della vulnerabilità e sulla consapevolezza dell’esposizione al rischio. Ciò è raggiungibile solo attraverso l’azione congiunta di scienziati, istituzioni, autorità locali, operatori dei media e società.

Purtroppo dal 2009 a oggi poco è stato fatto per migliorare la capacità di affrontare i rischi connessi con i fenomeni naturali. Noi riteniamo urgente intraprendere una nuova strada, civile e moderna, in cui scienziati, Protezione Civile, governo, amministratori locali, cittadini contribuiscano, ognuno per il proprio ruolo, a creare un sistema capace di affrontare e convivere con i rischi naturali. Per questo motivo, rinnoviamo il nostro impegno per la ricerca, per la comunicazione e per il dialogo con la società e le popolazioni dei territori a rischio.

INGV Press Release on the reasons for the L’Aquila verdict – January 18, 2013