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Quando iniziò lo sciame sismico all’Aquila?

La sismicità dopo il 6 aprile 2009 in un profilo verticale attraverso la faglia del 6 aprile 2009 (da Valoroso et al., 2013)

La sismicità dopo il 6 aprile 2009 in un profilo verticale attraverso la faglia del 6 aprile 2009 (da Valoroso et al., 2013)

Tra pochi giorni verrà emessa la sentenza del processo di appello. Dall’esame dei documenti del primo grado di giudizio, in particolare delle motivazioni della sentenza, rese pubbliche a gennaio 2013 e dai commenti che sono seguiti, è emersa una certa confusione su elementi scientifici di base (per un’analisi dettagliata vedi qui). Ne affrontiamo qui due, legati tra loro: a) quando è iniziata la sequenza sismica sfociata poi nel terremoto del 6 aprile 2009? b) è lecito dal punto di vista scientifico definire quella sequenza uno “sciame” sismico?

L’inizio della sequenza

Per stabilire il momento d’inizio di una sequenza sismica esistono degli algoritmi semplici e accettati dalla comunità scientifica che permettono di distinguere una sequenza (o uno sciame) dalla cosiddetta sismicità di fondo. Quest’ultima è la sismicità che avviene sempre nelle zone sismiche, con tasso di attività variabile da zona a zona ma sostanzialmente costante al suo interno. All’interno della sismicità di fondo possono avvenire saltuariamente terremoti più forti ma, se non cambia il tasso di rilascio sismico, non si può dire che ci sia una sequenza sismica in atto.

Secondo le motivazioni della sentenza la sequenza sarebbe iniziata a giugno 2008. Ad esempio, già a pag. 22, si legge: La scossa in questione (main shock) si verificava nell’ambito di uno sciame sismico che durava già da diversi mesi (dal giugno 2008) e che, prima del 6.4.09, aveva registrato come evento maggiore la scossa di magnitudo 4.1 delle ore 15.38 del 30.3.09.

 La stessa data di giugno 2008 come inizio dello sciame viene citata molte altre volte (alle pagg. 148, 203, 261, 266, 268, 332, 343, 356, 357, 377, 391, 408, 417, 422, 430, 437, 449, 465, 466. 474, 475, 482, 487, 495, 502, 503, 511, 519, 529, 534, 634, 661, 664, 670). In una sola occasione viene fatta iniziare a dicembre 2008 (pag. 647), mentre altre volte viene detto genericamente “iniziato nel 2008”.

Vediamo come stanno le cose nella realtà, applicando l’algoritmo che si usa generalmente per questo tipo di analisi, quello di Paul Reasenberg (1985), sismologo del Geological Survey USA (USGS). L’algoritmo di Reasenberg  analizza le localizzazioni degli eventi sismici avvenuti e calcola il tempo che separa un evento da un altro e la distanza tra di essi: se questi avvengono entro un prefissato intervallo di tempo (per esempio 5 giorni) e in un’area definita (per esempio entro un raggio di 10 km), allora si può ipotizzare che essi appartengano a una sequenza.  Abbiamo chiesto a Franco Mele, sismologo del nostro Istituto esperto in questo tipo di analisi, di verificare se fosse possibile stabilire in maniera chiara il momento d’inizio della sequenza aquilana. Il risultato è che la sequenza è iniziata a gennaio 2009. In particolare, dice l’algortimo di Reasenberg, intorno al 7 gennaio 2009.

 

Distribuzione temporale dei terremoti nella zona aquilana (raggio 30 km intorno alla città) dall'inizio del 2008 al 29 marzo 2009. Ciascun simbolo rosso indica un terremoto la cui magnitudo è leggibile nell'asse verticale a destra. La linea rappresenta la cumulata del numero di eventi sismici (N sull'asse di sinistra è il numero totale): se la pendenza è costante significa un numero costante di terremoti, corrispondente alla sismicità di fondo. Dove si osserva un aumento della pendenza (gennaio 2009) si ha una sequenza o sciame.

Distribuzione temporale dei terremoti nella zona aquilana (raggio 30 km intorno alla città) dall’inizio del 2008 al 29 marzo 2009. Ciascun simbolo rosso indica un terremoto la cui magnitudo è leggibile nell’asse verticale a destra. La linea rappresenta la cumulata del numero di eventi sismici (N sull’asse di sinistra è il numero totale): se la pendenza è costante significa un numero costante di terremoti, corrispondente alla sismicità di fondo. Dove si osserva un aumento della pendenza (gennaio 2009) si ha una sequenza o sciame.

La figura sopra mostra chiaramente questo risultato: il tasso di terremoti del 2008 e dei primi giorni del 2009 è stazionario, come mostrato dalla pendenza praticamente costante della retta che indica il numero (cumulato) di eventi che avvengono nel periodo esaminato (trattandosi di un grafico cumulato, una pendenza uniforme vuol dire rilascio costante; in caso di nessun terremoto, la retta sarebbe orizzontale). Il cambio di pendenza (ossia la variazione nel numero medio di terremoti che avvengono nell’area) è abbastanza brusco e si verifica intorno alla metà di gennaio del 2009. Mele ha anche verificato che al variare dei parametri di input (ad esempio della finestra temporale entro la quale considerare due terremoti associati tra loro, in genere 5 giorni) il risultato non cambia. Se si considera un’area più ridotta, di 10 km intorno all’Aquila, la cosa appare ancora più evidente come vediamo nei grafici sotto.

Andamento nel tempo della sismicità dal 1/1/2008 al 30 aprile 2009 in un’area di 30 km intorno a L’Aquila. Ogni punto rappresenta un terremoto di magnitudo come nella scala a sinistra. La linea rossa indica l’inizio della sequenza. Si nota bene che l’andamento prima della linea rossa è variabile ma senza particolari addensamenti (ossia sequenze): è la sismicità di fondo.

Andamento nel tempo della sismicità dal 1/1/2008 al 30 aprile 2009 in un’area di 30 km intorno a L’Aquila. Ogni punto rappresenta un terremoto di magnitudo come nella scala a sinistra. La linea rossa indica l’inizio della sequenza. Si nota bene che l’andamento prima della linea rossa è variabile ma senza particolari addensamenti (ossia sequenze): è la sismicità di fondo.

 

Andamento nel tempo della sismicità dal 1/1/2008 al 30 aprile 2009 in un’area di 10 km intorno a L’Aquila. Ogni punto rappresenta un terremoto di magnitudo come nella scala a sinistra. La linea rossa indica l’inizio della sequenza. Si vede ancora meglio rispetto alla figura precedente l'inizio della sequenza a gennaio 2009

Andamento nel tempo della sismicità dal 1/1/2008 al 30 aprile 2009 in un’area di 10 km intorno a L’Aquila. Ogni punto rappresenta un terremoto di magnitudo come nella scala a sinistra. La linea rossa indica l’inizio della sequenza. Si vede ancora meglio rispetto alla figura precedente l’inizio della sequenza a gennaio 2009

 

Sciame o sequenza?

Il termine sciame sismico proviene dall’inglese seismic swarm e fu definito probabilmente per la prima volta dai sismologi giapponesi negli anni ’60 del ‘900 (Mogi, 1963; Utsu, 2002). Come per l’inglese swarm, anche in italiano il termine sciame viene usato generalmente per indicare un folto gruppo di insetti o più generalmente una moltitudine di individui o cose in movimento.

Premettiamo che sciame (sismico) e sequenza (sismica) non sono due termini alternativi: il primo è un tipo particolare della seconda, categoria più ampia usata per indicare un addensamento spazio-temporale di terremoti. Risulta sempre difficile stabilire se una sequenza può essere definita uno sciame perché, come scrive Utsu (2002) “non esiste una definizione esatta universalmente accettata di aftershocks, foreshocks, and seismic swarms”. Lo stesso Utsu fornisce la seguente definizione: “uno sciame sismico è una concentrazione (cluster) di terremoti in cui non c’è un singolo terremoto di magnitudo predominante (predominantly large)”. Uno sciame si distingue da una classica sequenza main shock – aftershocks per avere molti terremoti di diverse magnitudo distribuiti irregolarmente nel tempo.

Se guardiamo ai grafici sopra, notiamo come le magnitudo del periodo gennaio – marzo 2009 seguano un andamento di questo tipo, con valori compresi tra 1 e 3 praticamente in tutto il periodo. Quindi, secondo la classificazione di Utsu (2002), nel caso della sismicità aquilana prima del 6 aprile si tratta proprio di uno sciame. Anche i terremoti del periodo tra 30 marzo e 5 aprile rientrano nella tipologia di uno sciame, durante il quale la magnitudo dei terremoti può anche aumentare. Diverso il caso della sequenza dal 6 aprile in poi, in cui a un evento maggiore (ML 5.9, Mw 6.3) sono seguite migliaia di repliche tutte più piccole, che sono diminuite nel tempo in numero e magnitudo seguendo un andamento tipico definito come legge di Omori (1894): una classica sequenza main shock – aftershocks.

Sfatiamo quindi questa credenza, emersa anch’essa durante il processo di primo grado: il termine sciame sismico connota una tipologia di sequenza sismica ben nota da molti decenni e non contiene in sé nessuna valenza rassicurante.

Riferimenti bibliografici

Mogi K. (1963). Some Discussions on Aftershocks, Foreshocks and Earthquake Swarms – the Fracture of a Semi-infinite Body caused by an Inner Stress Origin and its Relation to the Earthquake Phenomena (third paper). Bull. Earthquake Res. Institute, 41, pp. 615-658.

Omori, F. (1894) On the aftershocks of earthquakes. Journal of the College of Science, Imperial University of Tokyo 7: 111–200

Reasenberg, P. (1985) Second-Order Moment of Central California Seismicity, 1969-1982. Journal of Geophysical Research, 90, 5479-5495.

Utsu T. (2002) Statistical features of seismicity. In: International Handbook of Earthquake and Engineering Seismology. Editors: W.H.K. Lee, H. Kanamori, P.C. Jennings, C. Kisslinger. International Geophysics, Volume 81, Part A. Elsevier, ISBN: 978-0-12-440652-0, p. 719-732.

Valoroso, L., L. Chiaraluce, D. Piccinini, R. Di Stefano, D. Schaff, and F. Waldhauser (2013), Radiography of a normal fault system by 64,000 high-precision earthquake locations: The 2009 L’Aquila (central Italy) case study, J. Geophys. Res., 118, doi:10.1029/2012JB009927.

Un’analisi della sentenza (di G. Cavallo)

Abbiamo ricevuto un’interessante analisi della sentenza fatta dal collega astrofisico Giacomo Cavallo che ha approfondito la lettura dei documenti processuali e ci ha inviato il suo punto di vista, molto lucido e ben dettagliato. Pubblichiamo nel seguito la sua premessa, a seguire il sommario della sua analisi e rendiamo disponibile il testo integrale dei commenti alla sentenza in formato pdf scaricabile qui.

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COMMENTO ALLA SENTENZA “GRANDI RISCHI”, LETTA ALLA LUCE DELLA MOTIVAZIONE.

Non appena fu promulgata la sentenza dell’Aquila, nell’ottobre 2012, furono dette molte cose, e ci fu (almeno fuori dall’Abruzzo e soprattutto nella comunità scientifica, anche internazionale) un moto di simpatia a favore degli imputati. Poi, grazie all’azione di alcuni “opinion maker” e di articoli, siti, blog, in taluni dei quali la violenza delle argomentazioni ne sostituiva la lucidità, ci fu una netta inversione delle simpatie.

Ora, a parer mio, anche gli imputati hanno diritto a che la loro non facile posizione sia presa in considerazione quanto meno con equanimità.  Credo di potermi sobbarcare questo compito, non conoscendo personalmente alcun imputato né alcuno tra i parenti delle vittime, ai quali ultimi peraltro va la mia simpatia. Essa però non arriva al punto di approvare una punizione che mi pare eccessiva e quindi ingiusta, creando così altre vittime. Non è così che si rispetta la memoria dei defunti.

Nel testo da me scritto commento il Capo di Imputazione (cioè in sostanza l’accusa), fatto proprio dal Giudice,  quale esso risulta dalla Motivazione della Sentenza Grandi Rischi (pagine I-VIII), pubblicata il 18 gennaio 2013, alla luce della Motivazione stessa.  Non sono un esperto di Diritto, ma mi sembra che svariati difetti nell’Accusa siano evidenti anche a un non esperto, almeno quanto i concetti della Sismologia appaiono essere evidenti al Giudice nella Motivazione.

Non commento invece la totalità della Sentenza, in particolare non ne commento il Dispositivo. Se le argomentazioni verranno recepite da un lettore esperto, i commenti alla Sentenza intera li potrà fare lui stesso.

Taluni fra gli imputati e i loro  avvocati possono temere che, come sovente avviene, un maldestro tentativo di difesa si riveli controproducente. Posso solo dire che spero che ciò non avvenga, e che, alla fine, la civiltà nella discussione, e il buonsenso in Appello, prevarranno.

Qui di seguito si potrà trovare un sommario del mio saggio, che è disponibile in forma completa qui.  Mi scuso per la sua lunghezza.

NOTA: Si noti che in quanto segue DPC significa Dipartimento Protezione Civile e CGR Commissione Grandi Rischi.

SOMMARIO

L’obbiettivo del saggio è dimostrare come il Capo di Imputazione, pedissequamente seguito dal Giudice nella Sentenza dell’Aquila, non contenga in pratica un solo elemento valido.

Nel saggio non si farà ricorso né ai “Grandi Principi”, né alla “Sacralità della Scienza”, né al processo a Galileo. Non si ricercheranno neppure i motivi che possono aver spinto il Giudice a quella che sembra essere una deliberata persecuzione della CGR, aumentando la pena richiesta dal PM e negando agli imputati anche le più ovvie attenuanti e l’esistenza dei più ovvi concorsi di colpa. Invece si utilizzerà unicamente la Motivazione della Sentenza (pubblicata il 18 gennaio 2013), che si  rivelerà essere lo strumento più letale per distruggere l’Accusa stessa.

A tale scopo lo studio è presentato in due colonne (a sinistra il testo dell’Accusa, a destra la confutazione) e in otto parti, indicate con i numeri romani da I a VIII, nelle quali  può essere sezionata l’Accusa, senza ometterne alcun elemento.

Le otto parti sono trattate come segue:

I. Titolo della Sentenza: È l’unica parte a cui non si obbietta.

II.  Si mette in luce come il Giudice inventi una CGR composta di dieci membri, mentre i membri presenti alla riunione dell’Aquila il 31/3/2009, base dell’Accusa, sono solo quattro. La trasparente strategia del Giudice è quella di riuscire a mettere insieme dieci membri, perché per legge la CGR non può “operare” ove siano presenti meno di dieci membri.  Inventando sei membri, la riunione avrà valore legale e il Giudice potrà condannare in blocco tutti i membri (veri e fittizi) alla stessa pena per “cooperazione in omicidio colposo”. Non si può neppure sfuggire all’impressione che il Giudice voglia a tutti i costi includere il Prof. De Bernardinis nella CGR, perché dalla sua intervista tenuta subito prima della riunione provengono le frasi più incriminanti attribuite alla CGR.

Ma il meccanismo inventato dal Giudice per accrescere il numero di membri non è accettabile, perché non è previsto dalla legge, si scontra con esempi di organismi insigni dello Stato Italiano, crea confusione in alcuni punti della Motivazione e, portato al limite, condurrebbe a situazioni assurde.

Inoltre, dei dieci membri, veri e fittizi, il Giudice ne escluderà tre dal processo. Si dimostra come anche quest’ultimo procedimento sia infondato, contraddittorio e arbitrario.

Essendo i membri della CGR solo quattro, la riunione della CGR – che i partecipanti se ne rendessero conto oppure no – non era valida a rigore di legge, e di conseguenza alla riunione del 31/3/2009 non si potevano applicare né gli statuti né il regolamento della CGR.

Questa sola argomentazione dovrebbe essere sufficiente a invalidare la Sentenza.  

III.  L’Obbiettivo della riunione del 31/3/2009, “di fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili “, citato di seguito dal Giudice,  non era l’obbiettivo reale della riunione.  Esso viene però introdotto in questa forma erronea, perché il Giudice affermerà che una delle due colpe della “CGR” (le virgolette indicano che non se ne condivide la composizione e quindi la validità) è appunto quella di essersi assunta, “consciamente e volontariamente”, l’onere della comunicazione alla cittadinanza senza il “filtro” del DPC, compito a lei non spettante. La Motivazione stessa mostra come tale onere non fosse noto a tutti i membri nominativi della CGR e come al tempo della riunione non esistesse alcun obbligo o restrizione alla comunicazione diretta della CGR  “verso l’esterno”. Inoltre, per controbattere l’argomentazione del Giudice, si può leggere nella Motivazione come la riunione sia stata seguita da una conferenza stampa (la cui trascrizione non è disponibile) organizzata dal DPC (il “filtro”!) con lo scopo preciso di informare la Popolazione.

Erroneo dunque l’obbiettivo citato, ed erronee e contraddette dai fatti e dalla Motivazione le argomentazioni del Giudice per dimostrare come questo obbiettivo sia stato colpevolmente perseguito.

IV. Si osserva come l’obbiettivo del Giudice di dimostrare che la valutazione dei rischi da parte della “CGR” fu “approssimativa, generica ed inefficace” sia basato su due fatti: (i) era in corso uno sciame sismico; (ii) avvenne un terremoto per il quale, a parere del Giudice, erano ormai maturi i tempi. Di qui il Giudice vorrebbe condurre il pubblico a concludere che lo sciame fu sottovalutato come precursore del terremoto. Tuttavia il Giudice non esplicita (perché non lo può fare) l’argomento principale  che congiungerebbe i due eventi, cioè che la comunità scientifica – post factum – concordi oltre ogni ragionevole dubbio sulla conclusione che lo sciame e il terremoto abbiano avuto tra loro una relazione causale, e la loro concomitanza non sia stata invece dovuta ad una fatale coincidenza. In effetti, se il Giudice dicesse questo, ne risulterebbe che i terremoti possono essere predetti, ciò che la Motivazione si affretta a ripetere a ogni piè sospinto essere impossibile. In mancanza di questa certezza, e questo anche dopo che il fatto è avvenuto, la severa condanna sarebbe stata inflitta in sostanza perché la CGR non impiegò maggior tempo in un’analisi che i membri della CGR concordemente pensavano che non avrebbe portato a nulla, in particolare che non avrebbe potuto portare a concludere se esistesse un rischio di terremoto significativamente superiore a quello consueto in un contesto sismico come quello Aquilano.

Tuttavia, come si vedrà di seguito, l’analisi fatta dalla “CGR”, anche se insoddisfacente per il Giudice e per il pubblico, non poté avere effetto sul comportamento delle vittime.

V. L’affermazione da parte del Giudice, che la “CGR” fornì, in occasione della detta riunione, sia con dichiarazioni agli organi di informazione sia con redazione di un verbale, al Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, all’Assessore Regione Abruzzo alla Protezione Civile, al Sindaco dell’Aquila, alla cittadinanza aquilana, informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause, sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica in esame, rasenta l’assurdo in quanto:

– non è chiaro a quali dichiarazioni dei membri nominativi della CGR si riferisca il Giudice;

– il Verbale fu reso pubblico solo dopo il terremoto del 6/4/2009;

– il Giudice sembra dimenticare di avere già incluso nella “sua” CGR anche i rappresentanti del DPC, dell’Assessorato, e il Sindaco, che quindi sarebbero responsabili delle informazioni incomplete, imprecise ecc. fornite a se stessi.

VI. Questa Sezione è di minore importanza, e serve solo a evidenziare come il Giudice scriva la sentenza in modo che sembrino specifici della CGR determinati obblighi che la legge assegnò genericamente alla Protezione Civile, ben prima dell’istituzione della CGR.

VII. Il Giudice sceglie nove affermazioni attribuite alla CGR per dimostrare il punto V. Nessuna di esse è pertinente, in quanto sette erano ignote alla popolazione e alle future vittime, perché  contenute in un verbale della riunione del 31/3, che fu reso pubblico solo dopo il terremoto; le due  rimanenti risalivano ad un’intervista rilasciata da un non-membro della CGR prima della riunione (il Giudice preferisce dire e ripetere che fu rilasciata “a margine” della riunione)  – ma malauguratamente mandata in onda dopo.

A questa intervista, che non poteva quindi esprimere le risultanze della riunione della “CGR”,  possono essere riferite tutte le frasi che, secondo le testimonianze dei superstiti,  più rimasero impresse nella mente delle vittime cioè: “Non c’è pericolo”, “situazione normale”, lo sciame “scarica energia” e quindi rende impossibile un grande terremoto, ci si può bere “un bicchiere di vino”. Tanto i media quanto la cittadinanza stessa applicarono evidentemente un filtro tranquillizzante alle informazioni ricevute, e il messaggio risultante non può essere attribuito alla “CGR”. Che la cittadinanza abbia messo in opera questo filtro viene dimostrato prendendo come esempio quanto scrive al riguardo il Giudice stesso nella Motivazione.

La tesi del Giudice, che si basa su frasi opportunamente scelte dal verbale e dall’intervista, e citate fuori del contesto, è che se l’intervista fosse stata fatta dopo la riunione, vi si sarebbero dette le stesse cose. Tale tesi è controbattuta dai fatti, è dubbia in teoria, e appare essere comunque un assai tenue argomento per una così grave condanna.

In margine, suggerisco a chi voglia fare l’avvocato del diavolo, di prendere lo stesso verbale e la stessa intervista e raccogliere una “contro-antologia” di nove frasi che invece dimostrino l’innocenza della CGR. E’ possibile farlo, e io stesso l’ho fatto senza difficoltà, per esercizio.

Bisognerebbe chiedersi invece perché non si sia identificato un concorso di colpa da parte dei media.

E parimenti ci si dovrebbe chiedere perché sia stato completamente ignorato in sede di sentenza come il clima di nervosismo vigente all’Aquila fosse anche dovuto agli allarmi ingiustificati diffusi nella popolazione prima della riunione della CGR, in parallelo con le rassicurazioni, ingiustificate e “demenziali”, della Protezione Civile Regionale (p. 152). Tale clima fu una delle cause principali della convocazione della riunione all’Aquila, e della sua tanto deprecata funzione “mediatica”.

VIII.  Non si possano addossare alla CGR, organo consultivo e propositivo, tutte le colpe del decesso e ferimento di un certo numero di vittime, scagionando con ciò tutti coloro che non avevano provveduto a mettere a norma gli edifici pubblici e privati.

Si riporta a questo proposito l’affermazione del Giudice, che appare “assolutamente infondata” la tesi della Difesa, che l’unica difesa dai terremoti consista nel rafforzare le costruzioni e migliorare la loro capacita di resistere al terremoto. La netta affermazione del Giudice è erronea e potenzialmente pericolosa per il Paese, oltre che non condivisa da alcun altro Paese esposto a rischio sismico.

A riprova si osserva che un terremoto della stessa Magnitudo, in Paesi come la California o il Giappone avrebbe quasi certamente prodotto meno di cinque vittime in tutto.

La conclusione del saggio è lasciata al lettore. Il Capo di Imputazione termina a pag. 8 della Motivazione (versione ufficiale) con le parole “In L’Aquila tra il 31.03.2009, data della riunione della Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi e il 06.04.2009, data dell’evento”, e qui si arresta anche il mio commento.

Sulla base di questo a mio parere assai discutibile Capo d’Imputazione, il Giudice costruirà poi una pena severissima, concedendo attenuanti generiche, il che suona quasi derisorio, visto che il Giudice nel contempo alza di due anni la richiesta del PM ed interdice “in perpetuo” i pubblici uffici agli imputati  (pena – se ho ben capito – non applicabile a casi come questo).

Posso solo sperare che alla fine il buonsenso prevalga.

Giacomo Cavallo.

Marzo 2014

Le “prove” dell’accusa: l’articolo di Boschi et al. del 1995 sul Bulletin of the Seismological Society of America

Galileo_by_leoniDopo il processo e la sentenza, si è parlato molto di processo alla Scienza. C’è chi ha evocato addirittura il processo a Galileo, chi si è limitato, per così dire, a parlare di scienza in tribunale. I fautori della sentenza hanno tenuto a precisare che non si è trattato affatto di un processo alla Scienza ma solo a degli individui che hanno fatto male il loro mestiere. Quel che è certo è  che si è trattato indubbiamente di un processo intriso di elementi scientifici, nella formulazione dell’accusa, nella scelta degli accusati, in ogni dichiarazione resa alla stampa. Tutto è stato permeato di termini e concetti che sono propri della scienza. Se non si è trattato di un processo alla Scienza con la S maiuscola, si è processato il metodo scientifico (galileiano), il che non è molto diverso.

Un esempio di quanto il percorso e il risultato scientifico sia stato coinvolto nel processo è rappresentato dall’ampio uso che viene fatto dall’accusa dell’articolo pubblicato nel 1995 da Boschi, Gasperini e Mulargia sul BSSA (Bulletin of the Seismolgical Society of America), una delle principali riviste sismologiche mondiali. L’articolo è stato citato spesso in aula, e poi dalla stampa, per provare che gli imputati avrebbero dovuto utilizzare l’articolo (Boschi in primis essendone autore) per dire che un terremoto a L’Aquila fosse imminente.

titolo

Ma imminente quanto? Ore, giorni, mesi, anni? Qui sta il punto. Geologicamente queste quantità sono praticamente la stessa cosa. Perché i processi geologici hanno periodi di centinaia di migliaia o milioni di anni, i tempi di ricarica di una singola faglia in Italia sono di centinaia o migliaia di anni. Gli errori su queste grandezze non possono che essere anni o decenni, considerato il campione statistico a disposizione (il catalogo storico) e la sua irregolarità.

Ma veniamo a cosa dice l’articolo. E a cosa ne è stato estratto in maniera semplicistica per dimostrare la colpa. Delle oltre 50 zone in cui gli autori avevano diviso l’Italia per i loro calcoli statistici, ci si è concentrati sulla zona 34, un triangolo molto stretto che comprende la regione aquilana, più o meno (dalla carta pubblicata non è chiaro).

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Come si vede dalla figura, la zona 34 è molto piccola. Tutte le zonazioni utilizzate successivamente per studi analoghi, come la carta di pericolosità nazionale (http://zonesismiche.mi.ingv.it/), hanno utilizzato zone più grandi, per avere più dati e delle statistiche più robuste.

Nella tabella 4 dell’articolo i valori di probabilità di un terremoto di magnitudo pari o superiore a 5.9 in quest’area sono sempre 1.00 (il 100%), indipendentemente dalla finestra di previsione. Gli autori scelsero di calcolare le probabilità (usando un certo modello statistico) per 5, 20 e 100 anni. La zona 34 viene indicata dagli autori come quella effettivamente più pericolosa. Troppo pericolosa.

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Se, nel 1995, avessero calcolato la probabilità a 1 anno o a 1 mese sarebbe risultata sempre 1. Vediamo perché, gli autori ci aiutano a capire. Infatti scrivono che la zona 34 va trattata con “prudenza” per il piccolo numero di terremoti usati (solo 3, e non ci vuole un Mannheimer per capire che fare dei calcoli statistici su un campione di 3 dati è non solo imprudente ma forse proprio sbagliato). Gli autori notano nell’articolo che i tre terremoti della zona 34 sono avvenuti tra il 1646 e il 1762 con intervalli di circa 60 anni. Poi più niente per oltre 230 anni. Ecco spiegata la probabilità 1 della tabella. Un modello che prevede un terremoto ogni 60 anni (1646, 1703, 1762) avrebbe dato probabilità elevatissime in Abruzzo già intorno al 1830, ben prima della presa di Roma e dell’unità d’Italia, per intenderci. Restando in ambito sismologico, la certezza di un forte terremoto a L’Aquila, secondo l’articolo, c’era anche quando avvenne il forte terremoto del 1857 in Basilicata, quello di Messina nel 1908, del Belice nel 1968, del Friuli del 1976 o dell’Irpinia del 1980. Tutti questi eventi sismici, e molti altri, hanno causato decine di migliaia di vittime dalle Alpi alla Sicilia, mentre (secondo quello studio) la probabilità a L’Aquila continuava a essere il 100%. Nei fatti, per oltre due secoli a L’Aquila non è successo niente, nonostante la probabilità fosse del 100% (secondo l’articolo in oggetto) e con decine di sequenze e sciami che sono capitati in quello stesso periodo.

Un altro aspetto problematico dell’articolo è che i 3 terremoti della zona 34 non sono affatto confrontabili: si tratta di un evento, nel 1646, di magnitudo (stimata) 4.5 (catalogo CPTI11), di quello molto più forte del 1703 (M 6.7) e di quello del 1762 (M circa 6). Il primo è circa 2000 volte più piccolo del secondo! Quindi non confrontabile. Inoltre manca all’appello l’unico terremoto su cui tutti concordano nel considerarlo come un “gemello” di quello del 2009: quello del 1461, anch’esso più volte richiamato in aula e nella sentenza. La ricorrenza tra i tre eventi dell’articolo non ha quindi alcun senso. Come confrontare le angurie con le ciliegie.

Che gli autori avessero compreso che nella zona 34 quella statistica proprio non andasse bene traspare dal lungo riconsiderare e ridiscutere il risultato ottenuto per quella zona.  Scrivono infatti che questa distribuzione così irregolare potrebbe essere un indizio di “clustering. Cosa significa? Che, come si osserva spesso nei cataloghi sismici, i terremoti non avvengono con cadenza regolare (magari! sarebbero molto più prevedibili), tutt’altro. Ci sono molte regioni in Italia e nel mondo in cui si osserva il “clustering” ossia il raggruppamento: diversi terremoti in qualche decina di anni e poi secoli e secoli di quiescenza (link).

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Che quel modello fosse “sbagliato”, almeno per la zona 34, lo dimostra anche la prima colonna della Tabella, sistematicamente ignorata in aula, quella relativa al periodo 1995-1999: se nel 1995 c’era il 100% di probabilità di avere un terremoto di M6+ nei successivi 5 anni, e il terremoto non era avvenuto entro il 2000, c’era evidentemente qualcosa che non andava.

È così che progredisce la scienza, non possiamo colpevolizzare gli autori di quello studio per questo. Si formulano ipotesi, si costruiscono dei modelli, se ne analizzano i limiti, si verificano e, quando (la maggior parte delle volte) si dimostrano sbagliati, si cambiano. Ma non vengono effettuate smentite ufficiali, lavori come questo vengono citati ed eventualmente criticati in lavori successivi perché rappresentano comunque un passo verso la comprensione del percorso migliore da seguire per raggiungere un certo obiettivo: capire e tentare di quantificare la (ir)regolarità dei processi sismici. Nel caso specifico, questo lavoro ha messo in evidenza che per applicazioni statistiche più realistiche è necessario utilizzare la sismicità in zone più estese di territorio e quindi con più dati da elaborare (vedi qui).

E qui torniamo al punto di partenza. Che l’Abruzzo fosse una zona ad elevata pericolosità lo si sapeva, è sancito nella Mappa di Pericolosità sismica d’Italia, è stato detto nella riunione della CGR del 31 marzo (vedi qui), tanto che il Sindaco Cialente il giorno dopo chiese lo stato d’emergenza. Che non si potesse dire che il terremoto fosse in arrivo nei successivi giorni o anni o decenni è evidente, e certo l’articolo di Boschi et al. qui descritto non lo diceva. Averlo portato e discusso alla riunione del 31 marzo non avrebbe cambiato le cose, non avrebbe consentito di formulare una probabilità di accadimento di un forte terremoto nelle ore/giorni successivi. Come detto inizialmente, tutti gli strumenti sviluppati e validati dalla comunità scientifica internazionale in questo campo riguardano il medio e lungo termine (quindi decine o centinaia di anni). Gli scienziati lavorano per migliorare la comprensione e le possibilità di applicazione dei propri studi alla società ma occorre avere ben chiaro che la pubblicazione di un articolo scientifico significa esporre una teoria, un modello, un’ipotesi alla critica dei colleghi. Significa dare inizio a un percorso di verifica e di analisi che può portare a rivedere completamente il lavoro stesso, spesso anche da parte degli stessi autori. I risultati di questo complesso processo di avanzamento della conoscenza non possono essere usati se non se ne comprendono pienamente il significato e i limiti.

OggiScienza TV – La scienza e gli scienziati nel processo de L’Aquila

da OGGISCIENZA  Processo de L’Aquila. La sentenza a sei anni di carcere a 7 dei partecipanti alla riunione della Commissione Grandi rischi del 31 marzo 2009 fa molto discutere. Il 30 gennaio, a dieci giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza, lo stesso pm Fabio Picuti chiede l’archiviazione dell’inchiesta a carico dell’ex capo della Protezione Civile e di Daniela Stati (ex Assessore regionale abruzzese alla Protezione Civile). Guido Bertolaso e Stati erano indagati per omicidio colposo e lesioni in un filone di indagini parallelo a quello del processo ai sismologi. Dato che le motivazioni della sentenza del giudice Marco Billi sono basate in buona parte sul fatto che i partecipanti si sarebbero prestati a un’operazione mediatica architettata proprio da Bertolaso, ci si chiede allora dove stia (almeno) la coerenza.

OggiScienza ha seguito il processo e commentato la sentenza. Le questioni aperte da questa vicenda sono moltissime, oggi ne approfondiamo alcune con Giulio Selvaggi, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, all’epoca del terremoto direttore del Centro Nazionale Terremoti, e oggi uno degli imputati di questo processo.

Simona Cerrato

NOTA
La mia conoscenza delle vicende del processo dipende anche dal fatto che negli ultimi mesi ho collaborato con un gruppo di sismologi dell’INGV per studiare e migliorare la comunicazione dei terremoti in Italia. La mia posizione non è quindi equidistante. Malgrado ciò, penso che questa conoscenza possa essere utile anche ad altri e che sia un bene metterla a disposizione.

Lettera aperta dei sismologi dell’INGV sulle motivazioni della sentenza

Il 18 gennaio sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato per omicidio colposo gli esperti della Commissione Grandi Rischi riunitasi prima del terremoto aquilano del 6 aprile 2009. Questa è un’altra importante tappa della complessa vicenda giudiziaria che ha fatto discutere il Paese e la comunità scientifica nazionale ed internazionale.

Ormai a distanza di più di due anni dall’inizio della vicenda giudiziaria, tanti di noi continuano, non certo per partito preso, a coltivare dubbi sulla strada intrapresa dalla magistratura e a ritenere ingiuste le accuse e la condanna a sei anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per omicidio colposo ai nostri colleghi. Oggi, soprattutto dopo aver letto le motivazioni, sentiamo il dovere di comunicare il nostro punto di vista.

Per quanto riguarda il processo, con la sentenza si è inteso confermare la tesi contenuta nella requisitoria dei pubblici ministeri, secondo cui gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per avvenire ma non si sarebbero curati, o addirittura avrebbero volutamente evitato, di comunicare adeguatamente il rischio. A fronte del fatto che la comunicazione verso la cittadinanza non è prerogativa degli esperti che sono chiamati a fornire pareri, l’ampia documentazione esistente sulle caratteristiche sismiche del territorio testimonia la bontà del lavoro della comunità scientifica e l’avvenuto trasferimento delle informazioni e delle conoscenze disponibili per definire e comunicare il rischio sismico nella città di L’Aquila. A tal proposito, si deve notare come il giudizio sul ruolo giocato dalla comunità scientifica sia stato in buona parte imperniato su un’intervista al vice-capo del Dipartimento della Protezione Civile avvenuta precedentemente alla famosa riunione del 31 marzo 2009, nel corso della quale la Commissione Grandi Rischi ha discusso davanti alle autorità locali le caratteristiche sismiche dell’Aquilano e la possibilità di prevedere i terremoti.

Nel corso della riunione è stata comunicata alle istituzioni l’impossibilità di prevedere l’accadimento di una forte scossa. Questa comunicazione non poteva essere interpretata come l’impossibilità che il terremoto avvenisse. La certezza di quanto sostenuto è nel fatto che i risultati delle ricerche svolte dal 2009 a oggi non hanno smentito nulla di quello che è stato sostenuto dagli esperti nella riunione e non hanno evidenziato aspetti che avrebbero dovuto suggerire con certezza uno sviluppo così drammatico della sismicità. Infatti, anche in questo preciso momento possiamo serenamente affermare che dal punto di vista scientifico una sequenza sismica di bassa magnitudo in atto non rappresenta un segnale prognostico per l’accadimento nell’immediato di un forte terremoto.

Se poi guardiamo al processo, dobbiamo sottolineare il fatto che per dimostrare la colpevolezza degli imputati i pubblici ministeri sono entrati nel merito di lavori scientifici estremamente complessi, senza avvalersi di adeguata consulenza sismologica.  Già questo aspetto basterebbe ad affermare che l’intera vicenda giudiziaria presenta aspetti tali da farla considerare anche un processo alla scienza. In questo quadro non sorprende che lo stesso pubblico ministero giunga a definire “categoria giuridica il concetto di analisi del rischio”, cioè procedure proprie del mondo della ricerca, continuamente discusse, cui sono legati significativi margini di incertezza. Assumere posizioni come questa, prescindendo dal fisiologico sviluppo di un dibattito scientifico, a noi sembra una forzatura.

Altro aspetto generale del processo che alimenta più di una perplessità è la mancata analisi delle responsabilità istituzionali, politiche, amministrative, sia al livello centrale che locale. In questo caso possiamo richiamare la lucida analisi del ministro Clini: “Non si può chiedere a tecnici e scienziati di assumersi una responsabilità che dovrebbe essere amministrativa e, in ultima istanza, della politica”. Ciò è certamente vero per il caso specifico delle conseguenze della riunione della commissione di esperti oggetto del processo, ma è altrettanto vero in generale, su un piano che potrebbe dirsi addirittura storico, il cui richiamo è suggerito proprio dalla lacuna del dibattito processuale.

In effetti, basta guardare a quanto discusso in occasione di terremoti passati. Il 2 gennaio 1909, pochi giorni dopo la catastrofe di Reggio e Messina, sul Corriere della Sera, un illuminato Pasquale Villari (già Ministro della Pubblica Istruzione), riprendendo tesi di Guido Alfani (direttore dell’Osservatorio Ximeniano) osservava che la distruzione “non è una ragione per condannare noi stessi … ad un’opera eterna di fare e disfare, ripetendo sempre gli stessi errori, non evitando quella parte non piccola di calamità da cui la ragione e l’esperienza possono difenderci”. Era la perorazione del ben costruire che anche il giorno dopo, sullo stesso giornale, un altrettanto illuminato Francesco Saverio Nitti faceva sua, citando, come si fa anche oggi, il Giappone: “Le costruzioni sono fatte in guisa da rendere i pericoli sempre meno gravi. Tutta la Calabria deve adottare forme di costruzioni, che possono resistere almeno in parte all’opera distruggitrice dei terremoti. Questo problema va affrontato arditamente, come un problema nazionale”. Ancora oggi è questo l’unico strumento per la difesa dai terremoti. Se dopo più di cento anni discutiamo delle stesse questioni, vuol dire che il problema a livello nazionale non è stato affrontato, almeno non “arditamente”. Possiamo affermare che se avessimo cominciato a costruire in modo antisismico dal 1909, molte vite umane si sarebbero salvate: del resto la zona dell’Aquila fu classificata come sismica dopo il terremoto del 1915.

Si potrebbe proseguire con la previsione dei terremoti. Nel caso del sisma aquilano se ne è discusso a lungo, per concludere che, come sostenuto dagli esperti della commissione, non è possibile previsione alcuna. Non è storia nuova: dopo il disastroso terremoto abruzzese del 1915 (ben più forte di quello del 2009), il direttore dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (l’INGV di una volta) così rispondeva a chi pretendeva informazioni sul momento esatto delle scosse a venire: “Caro signore … se noi potessimo sapere quello che lei chiede, questo ufficio invece di chiamarsi Osservatorio si chiamerebbe Segnalatorio”. Il fatto che a quasi cento anni di distanza ci siamo trovati di fronte ad analoghe discussioni manifesta le lacune di progresso culturale della società. Ancora oggi, nonostante gli avanzamenti scientifici fatti nel campo sismologico, nessuno può prevedere una forte scossa con esattezza di tempo e luogo.

In questo quadro di persistente arretratezza, l’importante elemento di progresso politico e culturale determinato dall’attività dei sismologi nei decenni passati è rappresentato dalla classificazione sismica del territorio nazionale (Decreto MLP 14/07/1984), base irrinunciabile per le corrette pratiche edilizie. Da ultimo, nel 2004, gli esperti hanno messo a disposizione delle pubbliche autorità la Mappa di Pericolosità Sismica, una legge dello Stato (2006) da utilizzarsi appositamente per la difesa dai terremoti, come riferimento nelle norme tecniche per le costruzioni. La mappa è una vera e propria previsione probabilistica di quanto può accadere dal punto di vista sismico sul territorio nazionale in un momento qualsiasi, non sappiamo se domani, fra dieci o cinquanta anni.

Diversamente da un articolo scientifico, che per definizione è destinato ad un pubblico di esperti e va letto nella sua interezza e non estrapolando una singola frase, le mappe di pericolosità sono elaborate dalla comunità scientifica internazionale secondo procedure consolidate e condivise, e realizzate in una forma semplice e comprensibile a tutti per la diretta pianificazione dell’uso del territorio. Nel caso italiano, la mappa considera tutta la lunga storia sismica italiana e tutti i risultati della ricerca aggiornati e discussi dalla comunità scientifica. Quella stessa carta fu mostrata dagli esperti anche nella riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009.

La storia di un secolo evidenzia che la ricerca applicata alla difesa dai terremoti ha avuto quello sviluppo consono alle necessità di un paese moderno. Al contrario, i persistenti difetti culturali e di messa in pratica delle acquisizioni scientifiche chiariscono drammaticamente, anche sul lungo periodo, le lacune amministrative e della politica richiamate, per lo specifico del processo, dal ministro Clini.

Si intravedono in pratica due storie, quella del Paese e quella della ricerca, che non hanno avuto, per quanto attiene la mitigazione dei rischi naturali, la stessa velocità, essendo quasi rimasta al palo la prima e avendo superato numerosi traguardi la seconda. E’ proprio a questo contesto che fa riferimento la vera lezione lasciata dal tragico terremoto del 6 aprile 2009: l’assenza ancora oggi di una forte politica di prevenzione e l’incapacità del sistema paese di gestire nel medio e lungo termine le informazioni sulla pericolosità, sulla vulnerabilità e quindi sul rischio sismico. E’ evidente, in merito a questi problemi ancora aperti, il ruolo fuorviante della sentenza e delle sue motivazioni.

Tutto questo non diminuisce la nostra determinazione a rinnovare l’impegno al massimo livello per la ricerca, per la comunicazione e il dialogo con la società e le popolazioni dei territori a rischio. Riteniamo urgente intraprendere una nuova strada, civile e moderna, in cui scienziati, Protezione Civile, governo, amministratori locali, cittadini, definendo chiaramente i propri ruoli, contribuiscano a creare un sistema capace di avviare le corrette pratiche che nel breve e medio termine possano portare ad una sostanziale mitigazione del rischio sismico. 

Alessandro Amato, Massimo Cocco, Giovanna Cultrera, Fabrizio Galadini, Lucia Margheriti, Concetta Nostro, Daniela Pantosti, sismologi dell’INGV.

 

Oggiscienza sulla sentenza

Il parere di Oggiscienza sulle motivazioni della sentenza (18 gennaio 2013)

Oggi le motivazioni della sentenza

Sono state rese note le motivazioni della sentenza di primo grado del processo dell’Aquila, emessa il 22 ottobre scorso, che condanna a 6 anni per omicidio colposo sette partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, tenutasi pochi giorni prima del terremoto in cui sono perite 309 persone.
Le motivazioni sono corpose e articolate e necessiteranno approfondimenti ulteriori.
Tuttavia, queste sembrano ignorare la dura lezione lasciata dal terremoto del 6 aprile 2009:
l’assenza di prevenzione e l’incapacità del sistema paese di gestire nel medio e lungo termine le informazioni sulla pericolosità, sulla vulnerabilità e quindi sul rischio sismico.

Si è invece focalizzata l’attenzione sulla previsione a brevissimo termine, nonostante l’acclarata impossibilità di prevedere l’accadimento di una forte scossa sismica in termini di ora, luogo ed intensità; impossibilità che non esclude che il terremoto possa verificarsi. Al contrario di quanto affermato nelle motivazioni riteniamo che la strada principale per ridurre il rischio sismico sia la prevenzione in termini di riduzione della vulnerabilità degli edifici.

La sentenza sostiene che gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per accadere, ma non si sarebbero curati, o meglio, avrebbero volutamente evitato di comunicare adeguatamente il rischio.

I sismologi italiani hanno sempre contribuito con grande impegno alla difesa dai terremoti lavorando insieme alla Protezione Civile e alle autorità locali. I sismologi hanno elaborato e messo a disposizione del Paese la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, la cui ultima versione aggiornata nel 2006 — tre anni prima del terremoto dell’Aquila — è legge dello Stato (http://www.mi.ingv.it/pericolosita-sismica/). Questa mappa, che rappresenta uno strumento importantissimo per la prevenzione sismica, era ed è ben nota. Nella mappa, L’Aquila ricadeva in una zona ove la pericolosità sismica è massima, indipendentemente dal fatto che ci fossero o meno delle sequenze sismiche in atto. Questo è stato discusso nella riunione del 31 marzo del 2009. Quindi l’”allarme” e la comunicazione del rischio erano stati chiaramente dati, per le proprie competenze, dai sismologi.

Noi pensiamo che il progresso per la mitigazione dei rischi naturali debba essere basato sulla conoscenza della pericolosità del territorio, sulla riduzione della vulnerabilità e sulla consapevolezza dell’esposizione al rischio. Ciò è raggiungibile solo attraverso l’azione congiunta di scienziati, istituzioni, autorità locali, operatori dei media e società.

Purtroppo dal 2009 a oggi poco è stato fatto per migliorare la capacità di affrontare i rischi connessi con i fenomeni naturali. Noi riteniamo urgente intraprendere una nuova strada, civile e moderna, in cui scienziati, Protezione Civile, governo, amministratori locali, cittadini contribuiscano, ognuno per il proprio ruolo, a creare un sistema capace di affrontare e convivere con i rischi naturali. Per questo motivo, rinnoviamo il nostro impegno per la ricerca, per la comunicazione e per il dialogo con la società e le popolazioni dei territori a rischio.

INGV Press Release on the reasons for the L’Aquila verdict – January 18, 2013