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“Scarico di energia” e i terremoti a Gubbio

A cinque anni dalla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, si parla ancora di “scarico di energia”. Facciamo chiarezza analizzando i terremoti della sequenza che continua a interessare l’area di Gubbio.

La sequenza sismica che sta interessando oramai da molti mesi la provincia di Perugia ha avuto negli ultimi giorni una ripresa con alcuni terremoti di magnitudo superiore a 3.0 avvertiti dalla popolazione. L’attività che dal 2010 aveva prima interessato il settore tra Gubbio e Pietralunga, con alcune migliaia di terremoti e magnitudo massime di M=4.0, si è concentrata ora più a nord-ovest, a metà strada tra Città di Castello (PG) e Apecchio (PU), con magnitudo massima M=3.3.

Figura 1. Sismicità nella zona di Gubbio dal 2010 alla scorsa settimana (in blu): sono evidenziati in giallo i terremoti della sequenza dell’aprile 2010, in verde quelli del marzo 2013 e in rosso la sismicità di questi giorni. Fonte: Blog INGVterremoti.

Figura 1. Sismicità nella zona di Gubbio dal 2010 aggiornata alla scorsa settimana in blu. Sono evidenziati in giallo i terremoti della sequenza dell’aprile 2010, in verde quelli del marzo 2013 e in rosso la sismicità di questi giorni. Fonte: Blog INGVterremoti.

Nella regione umbro-marchigiana sono presenti numerose faglie attive, concentrate lungo l’Appennino. Qui la catena montuosa si deforma, allargandosi perpendicolarmente al suo asse, a una velocità di circa 3 mm all’anno. Il modello tettonico più accettato dagli studiosi prevede che tale deformazione sia accomodata da un sistema di faglie, con movimento estensionale, a direzione prevalente nord-ovest/sud-est, fra cui la Faglia di Gubbio. L’individuazione delle faglie attive e delle loro geometrie in profondità si ottiene anche grazie allo studio della sismicità, che in quest’area viene rilevata da una rete molto densa di sismometri. È possibile affermare che la sismicità registrata nella zona di Gubbio a partire dal 2010 ha interessato diverse faglie. Per approfondimenti si veda il post sul blog INGVterremoti.

La modalità con la quale avviene il rilascio sismico che stiamo osservando in questi mesi porta il nome di sciame sismico. Il termine sciame sismico deriva dall’inglese seismic swarm e fu coniato alla fine dell’Ottocento, poi usato estesamente in tutta la letteratura scientifica americana ed europea. Con sciame si intende un periodo sismico che non è caratterizzato da un terremoto principale (mainshock) e dalle sue repliche (aftershock), ma un processo sismogenetico durante il quale gli eventi più forti si distribuiscono nel tempo in maniera casuale.

La domanda che ci poniamo è: quanta energia è stata sprigionata durante lo sciame sismico di Gubbio? Prima di tutto troviamo il parametro che meglio rappresenti l’energia dei terremoti. La migliore stima di questa grandezza è rappresentata dal momento sismico (indicato con M0). Tecnicamente, M0 misura il momento di una coppia di forze equivalente alla deformazione che osserviamo durante i terremoti e per questo si chiama momento sismico. La magnitudo (indicata con la lettera M) è invece un modo semplice e intuitivo di esprimere questa grandezza con numeri piccoli ed è proporzionale al logaritmo del momento M0 (viceversa, M0 è proporzionale a 10M). La magnitudo, sebbene sia meno precisa per i forti terremoti, si può misurare più rapidamente e per questo viene usata comunemente.

Figura 2. Sismogrammi e rappresentazione visiva della energia rilasciata da terremoti di M=4, M=5 ed M=6.

Figura 2. Sismogrammi e rappresentazione visiva dell’energia rilasciata da terremoti di magnitudo M=4, M=5 ed M=6. Fonte: Terremoti e maremoti. INGV-Giunti Progetti Educativi, 2010.

Dal 2010 ad oggi, nell’area di Gubbio sono avvenuti 45 terremoti di magnitudo maggiore di 3.0 (come indicato dalle colonnine verdi in Figura 3). Se traduciamo la magnitudo in momento sismico e ne sommiamo i valori per tutti i terremoti, otteniamo un momento sismico complessivo pari a Mo= 4*1016, che equivale ad un unico terremoto di magnitudo M=4.8 (linea nera in Figura 3). Possiamo quindi dire che, se tutta l’energia liberata negli oltre quaranta terremoti che sono avvenuti a Gubbio fosse stata liberata in una singola scossa, questa avrebbe avuto una magnitudo pari a 4.8. I restanti terremoti di piccola magnitudo non influenzano in maniera significativa questa stima.

Figura 3. Numero di terremoti dal 2010 (asse a sinistra e colonnine verdi) e il valore del loro momento sismico cumulato  nel tempo (asse a destra e linea nera). La linea rossa indica il momento sismico M0=1018 di un terremoto di magnitudo 6.

Figura 3. Numero di terremoti avvenuti nell’area di Gubbio dal 2010 ad oggi (asse a sinistra e colonnine verdi) e il valore del loro momento sismico cumulato nel tempo (asse a destra e linea nera). La linea rossa indica il momento sismico M0=10^18 di un terremoto di magnitudo 6.0.

Un’altra domanda che ci viene spesso rivolta è se da questa osservazione possiamo trarre un giudizio di cauto ottimismo proprio perché c’è stata una costante liberazione di energia. Purtroppo siamo molto lontani dal vero e per due motivi. Il primo deriva da quanto appena esposto e cioè l’energia che è stata liberata dall’intera sequenza è molto poca e corrisponde complessivamente a un terremoto modesto. Il secondo e più importante motivo è che il processo sismogenetico che porta alla nucleazione di un grande terremoto è molto più complesso. Di solito, osserviamo che l’area di faglia che si rompe in un grande terremoto non è solo quella interessata dallo sciame. Anzi, secondo alcuni modelli sismologici tale sismicità potrebbe aumentare o diminuire la probabilità di un forte terremoto, a causa delle variazioni dello sforzo sul piano di faglia; questo dipende molto dalla magnitudo delle scosse che avvengono prima del mainshock e dalla distanza e orientazione di queste rispetto alla faglia principale. Senza entrare in dettagli troppo tecnici sulla fisica della rottura nei terremoti, il concetto generale è che i forti terremoti non sembrano essere influenzati significativamente dalla sismicità di bassa magnitudo, che può o meno avvenire prima di una forte scossa, mentre sono influenzati da terremoti di magnitudo comparabile. A tal proposito si potrebbe far notare come la nostra storia sismica contenga numerosi esempi di attivazioni di faglie vicine tra loro dopo un forte terremoto e con differenze di tempi che variano da pochi secondi (Irpinia 1980, tre scosse in 40 secondi), a un giorno (Umbria-Marche 1997), a qualche giorno (Emilia 2012) a settimane (Calabria 1783), mesi (Friuli 1976) o addirittura anni (terremoto di Nicastro in Calabria meridionale del 1905 seguito nel 1908 da quello di Messina). Siamo ancora lontani dal comprendere in che modo e cosa influenza questa interazione tra strutture di faglia adiacenti.

L’erroneo concetto dello scarico di energia come elemento positivo è divenuto una vera e propria “leggenda metropolitana” che fu riportata anche dai mass-media nelle settimane prima del terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Lo stesso vice Capo Dipartimento della Protezione Civile di allora si pronunciò in questo senso prima della riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo 2009. Il tema dello scarico di energia come elemento positivo non fu però trattato durante la riunione della Commissione proprio perché senza alcun fondamento scientifico e anche perché non vi era contezza dell’intervista fatta poco prima dall’allora vice Capo Dipartimento. Al contrario, nei due comunicati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia al Dipartimento della Protezione Civile inviati nelle settimane prima del terremoto del 6 Aprile (febbraio e marzo 2009) si esprimeva chiaramente il concetto secondo cui la probabilità di un forte terremoto a L’Aquila non aumentava e neanche diminuiva a causa dello sciame in corso.

Per approfondire questi temi si veda l’articolo, uscito recentemente, di A. Amato e F. Galadini, 2014.

TERREMOTO IN TRIBUNALE – MI&LAB, Teatro Miela, venerdì 8 febbraio, Trieste

locandinaMI&LAB

Trieste -Teatro Miela, venerdì 8 febbraio ore 17.30
Dibattito:
TERREMOTO IN TRIBUNALE
Giustizia, scienza e media nel processo dell’Aquila con Alessandro Amato (INGV), Livio Sirovich (OGS), Nicola Nosengo (Nature) coordina Fabio Pagan

La sequenza di eventi sismici culminata il 6 aprile 2009 nella tremenda scossa che distrusse il centro storico dell’Aquila provocando oltre 300 morti e 1500 feriti, è rimbalzata nelle aule di tribunale con il processo a sette membri della Commissione grandi rischi, accusati di omicidio colposo plurimo per aver sottovalutato la pericolosità della situazione. La condanna in primo grado a sei anni emessa lo scorso ottobre nei loro confronti ha avuto un’eco mediatica eccezionale non solo in Italia ma anche nella comunità scientifica internazionale. Al di là della contrapposizione tra “innocentisti” e “colpevolisti”, due noti sismologi e un giornalista scientifico che conoscono a fondo protagonisti e dettagli del processo, analizzeranno i retroscena di una drammatica vicenda scientifica e giudiziaria che avrà importanti conseguenze anche sul futuro della comunicazione del rischio nel nostro Paese. Il confronto a MI&LAB avviene a pochi giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza: un hot topic quasi in presa diretta.

Il programma completo della manifestazione è disponibile sul sito del Teatro Miela e su Mi&lab 2013.

OggiScienza TV – La scienza e gli scienziati nel processo de L’Aquila

da OGGISCIENZA  Processo de L’Aquila. La sentenza a sei anni di carcere a 7 dei partecipanti alla riunione della Commissione Grandi rischi del 31 marzo 2009 fa molto discutere. Il 30 gennaio, a dieci giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza, lo stesso pm Fabio Picuti chiede l’archiviazione dell’inchiesta a carico dell’ex capo della Protezione Civile e di Daniela Stati (ex Assessore regionale abruzzese alla Protezione Civile). Guido Bertolaso e Stati erano indagati per omicidio colposo e lesioni in un filone di indagini parallelo a quello del processo ai sismologi. Dato che le motivazioni della sentenza del giudice Marco Billi sono basate in buona parte sul fatto che i partecipanti si sarebbero prestati a un’operazione mediatica architettata proprio da Bertolaso, ci si chiede allora dove stia (almeno) la coerenza.

OggiScienza ha seguito il processo e commentato la sentenza. Le questioni aperte da questa vicenda sono moltissime, oggi ne approfondiamo alcune con Giulio Selvaggi, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, all’epoca del terremoto direttore del Centro Nazionale Terremoti, e oggi uno degli imputati di questo processo.

Simona Cerrato

NOTA
La mia conoscenza delle vicende del processo dipende anche dal fatto che negli ultimi mesi ho collaborato con un gruppo di sismologi dell’INGV per studiare e migliorare la comunicazione dei terremoti in Italia. La mia posizione non è quindi equidistante. Malgrado ciò, penso che questa conoscenza possa essere utile anche ad altri e che sia un bene metterla a disposizione.

SPECIALE Terremoti storici: 310 anni fa un grande terremoto a L’Aquila

Sul blog ingvterremoti.wordpress.com c’è la descrizione di un forte terremoto avvenuto nel 1703 a L’Aquila.

 

Presa Diretta del 20 gennaio – La nostra risposta a Riccardo Iacona

Cattura

Il 25 gennaio scorso Riccardo Iacona ha risposto dalla pagina Facebook di Presa Diretta alla nostra lettera del 22 gennaio. Ecco la nostra risposta.

Gentile dott. Iacona,

la ringraziamo per la sua attenzione e per l’opportunità che ci dà di esprimere le nostre valutazioni sulle motivazioni della condanna al processo aquilano nella pagina Facebook di Presa Diretta.

Non abbiamo la presunzione di rappresentare il nostro Ente nella sua totalità, ma non siamo certo gli unici a pensarla in questo modo. Abbiamo voluto esprimere le nostre considerazioni in quanto ricercatori dell’INGV (alcuni con incarichi dirigenziali) che stanno approfondendo le questioni legate al processo anche per evitare che in futuro si possano ripetere quelle circostanze.

Nel processo di L’Aquila ci sentiamo condannati perché il nostro collega Giulio Selvaggi ha portato ed esposto alla riunione del 31 marzo 2009 una relazione che illustrava il nostro lavoro, e per questo ora è condannato a sei anni di carcere. A nostro giudizio quella relazione non era affatto rassicurante e non lo era certo la Mappa di Pericolosità mostrata e discussa alla riunione. La Mappa, che è legge dello Stato, è già una sintesi di tutte le informazioni disponibili sull’elevata pericolosità dell’area e quindi comprende anche i risultati descritti da alcuni esperti da voi intervistati.

Seismic hazard map of central Italy shown and discussed during the meeting

Mappa della pericolosità sismica dell’Italia centrale mostrata e discussa durante la riunione del 31 marzo 2009.

Nella lettera inviata dopo la puntata di Presa Diretta del 20 gennaio scorso, che era stata preceduta da varie nostre comunicazioni prima della trasmissione, avevamo voluto sottolineare che gli aspetti scientifici della vicenda aquilana non erano stati affrontati con la necessaria completezza. La presenza in trasmissione di esperti che presentavano visioni scientifiche diverse avrebbe sicuramente fornito un quadro più obiettivo. Non era certo nostra intenzione screditare nessun collega. Senza scomodare la Nuova Zelanda, il nostro Istituto ha molti statistici e vulcanologi nelle sue file e, come lei giustamente afferma, collabora con moltissimi Istituti e Università, compresi quelli dei ricercatori intervistati. Abbiamo però rilevato che alcune affermazioni non erano corrette (“tutti i grandi terremoti sono preceduti da sciami”) o erano fuorvianti se estrapolate dal contesto. Sappiamo che dalla scelta delle cose che si mostrano può dipendere il giudizio di uno spettatore.

Da parte nostra discuteremo i temi trattati nella puntata presentando tutti i dati scientifici relativi alle sequenze sismiche del passato, all’uso della statistica nello studio dei terremoti, ai metodi di valutazione della pericolosità a breve e lungo termine. Lo faremo nello spazio dedicato dall’INGV al processo di L’Aquila (https://processoaquila.wordpress.com/), dove già oggi trova una lettera aperta che riporta alcune nostre considerazioni.

Rinnoviamo a lei e ai suoi collaboratori l’invito a visitare l’INGV.

Cordiali saluti,

Alessandro Amato, Massimo Cocco, Giovanna Cultrera, Fabrizio Galadini, Lucia Margheriti, Concetta Nostro, Daniela Pantosti, sismologi dell’INGV.

Lettera aperta dei sismologi dell’INGV sulle motivazioni della sentenza

Il 18 gennaio sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato per omicidio colposo gli esperti della Commissione Grandi Rischi riunitasi prima del terremoto aquilano del 6 aprile 2009. Questa è un’altra importante tappa della complessa vicenda giudiziaria che ha fatto discutere il Paese e la comunità scientifica nazionale ed internazionale.

Ormai a distanza di più di due anni dall’inizio della vicenda giudiziaria, tanti di noi continuano, non certo per partito preso, a coltivare dubbi sulla strada intrapresa dalla magistratura e a ritenere ingiuste le accuse e la condanna a sei anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per omicidio colposo ai nostri colleghi. Oggi, soprattutto dopo aver letto le motivazioni, sentiamo il dovere di comunicare il nostro punto di vista.

Per quanto riguarda il processo, con la sentenza si è inteso confermare la tesi contenuta nella requisitoria dei pubblici ministeri, secondo cui gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per avvenire ma non si sarebbero curati, o addirittura avrebbero volutamente evitato, di comunicare adeguatamente il rischio. A fronte del fatto che la comunicazione verso la cittadinanza non è prerogativa degli esperti che sono chiamati a fornire pareri, l’ampia documentazione esistente sulle caratteristiche sismiche del territorio testimonia la bontà del lavoro della comunità scientifica e l’avvenuto trasferimento delle informazioni e delle conoscenze disponibili per definire e comunicare il rischio sismico nella città di L’Aquila. A tal proposito, si deve notare come il giudizio sul ruolo giocato dalla comunità scientifica sia stato in buona parte imperniato su un’intervista al vice-capo del Dipartimento della Protezione Civile avvenuta precedentemente alla famosa riunione del 31 marzo 2009, nel corso della quale la Commissione Grandi Rischi ha discusso davanti alle autorità locali le caratteristiche sismiche dell’Aquilano e la possibilità di prevedere i terremoti.

Nel corso della riunione è stata comunicata alle istituzioni l’impossibilità di prevedere l’accadimento di una forte scossa. Questa comunicazione non poteva essere interpretata come l’impossibilità che il terremoto avvenisse. La certezza di quanto sostenuto è nel fatto che i risultati delle ricerche svolte dal 2009 a oggi non hanno smentito nulla di quello che è stato sostenuto dagli esperti nella riunione e non hanno evidenziato aspetti che avrebbero dovuto suggerire con certezza uno sviluppo così drammatico della sismicità. Infatti, anche in questo preciso momento possiamo serenamente affermare che dal punto di vista scientifico una sequenza sismica di bassa magnitudo in atto non rappresenta un segnale prognostico per l’accadimento nell’immediato di un forte terremoto.

Se poi guardiamo al processo, dobbiamo sottolineare il fatto che per dimostrare la colpevolezza degli imputati i pubblici ministeri sono entrati nel merito di lavori scientifici estremamente complessi, senza avvalersi di adeguata consulenza sismologica.  Già questo aspetto basterebbe ad affermare che l’intera vicenda giudiziaria presenta aspetti tali da farla considerare anche un processo alla scienza. In questo quadro non sorprende che lo stesso pubblico ministero giunga a definire “categoria giuridica il concetto di analisi del rischio”, cioè procedure proprie del mondo della ricerca, continuamente discusse, cui sono legati significativi margini di incertezza. Assumere posizioni come questa, prescindendo dal fisiologico sviluppo di un dibattito scientifico, a noi sembra una forzatura.

Altro aspetto generale del processo che alimenta più di una perplessità è la mancata analisi delle responsabilità istituzionali, politiche, amministrative, sia al livello centrale che locale. In questo caso possiamo richiamare la lucida analisi del ministro Clini: “Non si può chiedere a tecnici e scienziati di assumersi una responsabilità che dovrebbe essere amministrativa e, in ultima istanza, della politica”. Ciò è certamente vero per il caso specifico delle conseguenze della riunione della commissione di esperti oggetto del processo, ma è altrettanto vero in generale, su un piano che potrebbe dirsi addirittura storico, il cui richiamo è suggerito proprio dalla lacuna del dibattito processuale.

In effetti, basta guardare a quanto discusso in occasione di terremoti passati. Il 2 gennaio 1909, pochi giorni dopo la catastrofe di Reggio e Messina, sul Corriere della Sera, un illuminato Pasquale Villari (già Ministro della Pubblica Istruzione), riprendendo tesi di Guido Alfani (direttore dell’Osservatorio Ximeniano) osservava che la distruzione “non è una ragione per condannare noi stessi … ad un’opera eterna di fare e disfare, ripetendo sempre gli stessi errori, non evitando quella parte non piccola di calamità da cui la ragione e l’esperienza possono difenderci”. Era la perorazione del ben costruire che anche il giorno dopo, sullo stesso giornale, un altrettanto illuminato Francesco Saverio Nitti faceva sua, citando, come si fa anche oggi, il Giappone: “Le costruzioni sono fatte in guisa da rendere i pericoli sempre meno gravi. Tutta la Calabria deve adottare forme di costruzioni, che possono resistere almeno in parte all’opera distruggitrice dei terremoti. Questo problema va affrontato arditamente, come un problema nazionale”. Ancora oggi è questo l’unico strumento per la difesa dai terremoti. Se dopo più di cento anni discutiamo delle stesse questioni, vuol dire che il problema a livello nazionale non è stato affrontato, almeno non “arditamente”. Possiamo affermare che se avessimo cominciato a costruire in modo antisismico dal 1909, molte vite umane si sarebbero salvate: del resto la zona dell’Aquila fu classificata come sismica dopo il terremoto del 1915.

Si potrebbe proseguire con la previsione dei terremoti. Nel caso del sisma aquilano se ne è discusso a lungo, per concludere che, come sostenuto dagli esperti della commissione, non è possibile previsione alcuna. Non è storia nuova: dopo il disastroso terremoto abruzzese del 1915 (ben più forte di quello del 2009), il direttore dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (l’INGV di una volta) così rispondeva a chi pretendeva informazioni sul momento esatto delle scosse a venire: “Caro signore … se noi potessimo sapere quello che lei chiede, questo ufficio invece di chiamarsi Osservatorio si chiamerebbe Segnalatorio”. Il fatto che a quasi cento anni di distanza ci siamo trovati di fronte ad analoghe discussioni manifesta le lacune di progresso culturale della società. Ancora oggi, nonostante gli avanzamenti scientifici fatti nel campo sismologico, nessuno può prevedere una forte scossa con esattezza di tempo e luogo.

In questo quadro di persistente arretratezza, l’importante elemento di progresso politico e culturale determinato dall’attività dei sismologi nei decenni passati è rappresentato dalla classificazione sismica del territorio nazionale (Decreto MLP 14/07/1984), base irrinunciabile per le corrette pratiche edilizie. Da ultimo, nel 2004, gli esperti hanno messo a disposizione delle pubbliche autorità la Mappa di Pericolosità Sismica, una legge dello Stato (2006) da utilizzarsi appositamente per la difesa dai terremoti, come riferimento nelle norme tecniche per le costruzioni. La mappa è una vera e propria previsione probabilistica di quanto può accadere dal punto di vista sismico sul territorio nazionale in un momento qualsiasi, non sappiamo se domani, fra dieci o cinquanta anni.

Diversamente da un articolo scientifico, che per definizione è destinato ad un pubblico di esperti e va letto nella sua interezza e non estrapolando una singola frase, le mappe di pericolosità sono elaborate dalla comunità scientifica internazionale secondo procedure consolidate e condivise, e realizzate in una forma semplice e comprensibile a tutti per la diretta pianificazione dell’uso del territorio. Nel caso italiano, la mappa considera tutta la lunga storia sismica italiana e tutti i risultati della ricerca aggiornati e discussi dalla comunità scientifica. Quella stessa carta fu mostrata dagli esperti anche nella riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009.

La storia di un secolo evidenzia che la ricerca applicata alla difesa dai terremoti ha avuto quello sviluppo consono alle necessità di un paese moderno. Al contrario, i persistenti difetti culturali e di messa in pratica delle acquisizioni scientifiche chiariscono drammaticamente, anche sul lungo periodo, le lacune amministrative e della politica richiamate, per lo specifico del processo, dal ministro Clini.

Si intravedono in pratica due storie, quella del Paese e quella della ricerca, che non hanno avuto, per quanto attiene la mitigazione dei rischi naturali, la stessa velocità, essendo quasi rimasta al palo la prima e avendo superato numerosi traguardi la seconda. E’ proprio a questo contesto che fa riferimento la vera lezione lasciata dal tragico terremoto del 6 aprile 2009: l’assenza ancora oggi di una forte politica di prevenzione e l’incapacità del sistema paese di gestire nel medio e lungo termine le informazioni sulla pericolosità, sulla vulnerabilità e quindi sul rischio sismico. E’ evidente, in merito a questi problemi ancora aperti, il ruolo fuorviante della sentenza e delle sue motivazioni.

Tutto questo non diminuisce la nostra determinazione a rinnovare l’impegno al massimo livello per la ricerca, per la comunicazione e il dialogo con la società e le popolazioni dei territori a rischio. Riteniamo urgente intraprendere una nuova strada, civile e moderna, in cui scienziati, Protezione Civile, governo, amministratori locali, cittadini, definendo chiaramente i propri ruoli, contribuiscano a creare un sistema capace di avviare le corrette pratiche che nel breve e medio termine possano portare ad una sostanziale mitigazione del rischio sismico. 

Alessandro Amato, Massimo Cocco, Giovanna Cultrera, Fabrizio Galadini, Lucia Margheriti, Concetta Nostro, Daniela Pantosti, sismologi dell’INGV.

 

Presa Diretta del 20 gennaio – Cosa abbiamo da dire

1355927311149presadiretta_logo-sQuesta la lettera inviata ieri a Riccardo Iacona in risposta alla trasmissione Irresponsabili – Presa Diretta del 20 gennaio su Rai3.

Gentile dott. Iacona,

abbiamo seguito con attenzione la puntata di ieri sul processo ai sette partecipanti alla riunione della CGR del 31 marzo 2009.

Ci spiace constatare che la ricostruzione proposta non è stata obiettiva ed è lesiva della nostra immagine di ricercatori al servizio della società. Gli esperti intervistati sono principalmente testimoni dell’accusa e hanno dimostrato una visione preconcetta e basata su giudizi formulati solo a posteriori, oltre ad aver detto delle cose scientificamente non vere.

Dire che i forti terremoti sono sempre preceduti da sciami è falso (il vulcanologo Stoppa). Nessuno dei maggiori terremoti italiani del ‘900 è stato preceduto da uno sciame. Del resto, interpellare a questo proposito un vulcanologo è una scelta poco appropriata all’importanza del tema.

Far credere che un modello di pericolosità a 10 o 50 anni, valido su aree di centinaia di chilometri (quello della dottoressa Rotondi del CNR), sia utilizzabile localmente per azioni pratiche di riduzione dell’esposizione è sbagliato e pericoloso. Peraltro non è nemmeno vero che i risultati di questi studi e di altri simili siano nascosti chissà dove, dal momento che una ricerca su internet o una telefonata vi avrebbe permesso di trovarli, oggi come anni fa, sul nostro sito web e negli archivi della Protezione civile a cui vengono sempre consegnati.

Si potrebbe andare avanti con le affermazioni di Del Pinto, che ha parlato impropriamente di “crescita della magnitudo”. E così via.

Queste argomentazioni scientifiche forse interessano poco a chi è tenuto, come voi, a rispettare la cronaca. Ma non possiamo non notare che tra i tanti esperti italiani di terremoti, non coinvolti nel processo e di chiara fama internazionale, avete scelto un vulcanologo, una statistica e un funzionario della Protezione civile molisana.

Inoltre, durante il processo vengono fatte affermazioni pericolose e fuorvianti, che voi avete giustamente riportato senza però sottolinearne la gravità: dire che il problema dei terremoti in Italia non sono le case che crollano e che la riduzione della vulnerabilità degli edifici è inutile (lo si legge nelle motivazioni) è fuorviante e, questo sì, profondamente irresponsabile. Come non ci stanchiamo di ripetere da sempre, e come confermano i colleghi giapponesi e americani e qualunque altro esperto in materia abbiate voglia di sentire, è proprio la prevenzione sugli edifici lo strumento principale di riduzione del rischio simico.

Infine, respingiamo con fermezza le accuse di essere “servi del potere”. Servitori dello Stato, sì. Servi del potere, no. Soprattutto respingiamo con forza la definizione di “braccio armato della Protezione Civile“, nel senso negativo del termine come lascia intendere la trasmissione. Chiediamo la rettifica di questa affermazione.

L’INGV è un Istituto di ricerca che in base alla Legge (la 225 del 1992 e il DLgs 381/1999) è “componente del servizio nazionale della protezione civile” e opera “in regime di convenzione con il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile“. Di questo delicato compito siamo responsabilmente consapevoli e fieri. In questo ambito operiamo da sempre per migliorare le conoscenze sui terremoti e sul nostro territorio e per sensibilizzare la popolazione. I dati prodotti dalle nostre reti di monitoraggio e i risultati dei progetti che abbiamo portato avanti in tanti anni sono sempre stati resi pubblici. E sono da sempre a disposizione di chi ha il compito di fare scelte politiche e di far rispettare le norme antisismiche.

Ci teniamo ancora una volta a precisare che i sismologi presenti alla riunione della CGR hanno fatto il loro dovere presentando tutti i dati disponibili, e che una chiara distinzione dei ruoli sarebbe necessaria: Giulio Selvaggi non solo non faceva parte della CGR, non era mai stato convocato alla riunione, non ha partecipato alla conferenza stampa (come del resto Boschi), non ha firmato il verbale. Una sentenza che lo accomuna a chi aveva un chiaro ruolo politico è a nostro parere di cittadini una sentenza ingiusta e preoccupante.

Cordiali saluti,

Alessandro Amato, Massimo Cocco, Giovanna Cultrera, Fabrizio Galadini, Lucia Margheriti, Concetta Nostro, Daniela Pantosti, sismologi dell’INGV.